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Giochi di guerra

Salvatore Desari 14 maggio 2024


A: Giochiamo alla guerra?
B: Ma sì dai, ci sto, voglio ammazzare un po’
A: Ma che dici, è solo un gioco, un passatempo come un altro
B: Bada però. Io voglio giocare sul serio
A: Perché io scherzo?
B: Ogni tanto non prendi sul serio il gioco
A: Allora si gioca sul serio stavolta. Io sono pronto
B: Anch’io sono pronto!
A: Preparo tutto, ascolta.
B: Ti ascolto.
A: Inizio a creare il contesto. Innanzitutto vorrei inserire due elementi fondamentali: la carestia e la peste. Nella carestia servono pochissimi cibi, o in qualche caso cibi cattivi, così abbreviamo la vita del nemico, nella peste inseriamo una miriade di malattie contagiose, un migliaio vanno bene direi. Che ne dici?
B: Anche più di mille, così abbiamo più scelta.
A: Ok, per me va bene, abbiamo più strumenti.
B: Ottimo.
A: Bene. Direi, inoltre, che i concorrenti potrebbero definirsi Re, o Principi, o Imperatori, che dici?
B: Sì ok, ma che ne dici di essere più attuali?
A: Dimmi.
B: Governanti, presidenti…?
A: Ottima idea.
B: Continua, dai.
A: Allora, senza dubbio dobbiamo organizzare devastazioni, distruzione di tutto ciò che capita a tiro per abbattere il nemico, senza pietà. Pensavo a incendiare campagne, distruggere città, abbattere abitazioni all’improvviso, sterminare quante più persone possibili.
B: I soldati nemici?
A: Anche, certo, ma vorrei aggiungere quell’elemento in più, quel quid, come dire, più crudele: dobbiamo uccidere tutti, oltre i soldati, anche cittadini e bambini innocenti, che dici? Così viene più cruento, non ci annoiamo.
B: Sempre meglio.
A: Bene, però...dobbiamo darci altri obiettivi, un quadro più ampio.
B: Ti ascolto.
A: Ascolta, questo è il quadro generale: prendiamo un principe, scusa, un governante, facciamo che questo tizio discenda in linea diretta da un principe, un nobile suo avo che tre o quattro secoli fa gli aveva promesso in dote una casata in una sperduta provincia. Ad oggi questa provincia non esiste più, ma la casata ne deteneva la proprietà con il suo ultimo proprietario, l’avo dell’attuale governante, di conseguenza l’attuale governante ritiene che la provincia gli appartiene, quasi per diritto divino, e quindi decide di prendersela con le buone o con le cattive. La provincia in questione, invece, che è a qualche centinaio di chilometri di distanza non è d’accordo e ha un bel protestare, dicendo che non conosce gli atti della dote, né il principe, il famoso avo, né la casata, insomma nulla. Inoltre sostengono che se anche fosse, dopo tutto il tempo trascorso, i rappresentanti di quella provincia non hanno nessun desiderio di essere governati da altri, che le leggi che si sono dati sono quelle che hanno formato il popolo, aggiungendo che un popolo stesso si regge sul consenso, e che loro sono lì da centinaia di anni. Ma questi sbrindellati discorsi non arrivano neanche alle orecchie del governante che pretende di avere dei diritti millenari su quella provincia, e quindi hanno un bel protestare gli attuali rappresentanti della provincia “contesa”, nulla farà cambiare idea all’illuminato governante che tra l’altro è un rispettabilissimo uomo di saldi principi e rispettoso della tradizione e dei voleri dei suoi avi, un brav’uomo insomma. Quindi che fa? E qui il gioco entra nel vivo: trova un foltissimo gruppo di uomini che a suo parere non hanno niente da fare e niente da perdere, li veste con panni di colore verde, grigio scuro, coccarde, cappellini, armi, insomma un lavoro fatto per benino, e ordina la gloriosa avanzata verso la gloria, sempre nel rispetto della tradizione e dei suoi antenati. Nel frattempo in provincia, intuendo quello che sta succedendo, decidono di difendersi ma, da buoni padri di famiglia, acconsentono di non fare interferire gli uomini buoni, quelli che contribuiscono all’onore e allo sviluppo della provincia (quelli che in queste storie sono buoni al massimo a fare le vittime), perciò reclutano i più abietti assassini liberandoli da carceri e detenzioni varie formando un degno e valoroso esercito di eroi che difenderanno la loro provincia contro l’usurpatore. Nel frattempo, altri popoli, non molto lontani, venendo a sapere quello che sta succedendo in quella provincia decidono di giocherellare anche loro a quella vicenda per il rispetto delle tradizioni, non sia mai che siano etichettati come degli sporchi indifferenti, per cui anche loro arruolano uomini, questa volta mercenari, promettendo loro che ci sarà da guadagnare come non mai per ogni caduto degli altri popoli, riscuotendo un ottimo successo. Lo svolgimento del gioco è ormai entrato nel vivo. A questo punto si trovano cinque o sei (a seconda dei partecipanti al gioco) l’uno contro l’altro: ora tre contro tre, ora due contro due, due contro quattro, ora cinque contro uno, si sa, nel gioco le alleanze hanno un ruolo di fondamentale importanza. Ci vuole intelligenza, non solo forza. Inizia così una straordinaria, epica e strabiliante impresa, un vero e proprio gioco infernale. Ciascuno di quei capi fa benedire le proprie bandiere prima di andare in battaglia a sterminare il suo prossimo. Se un capo ha avuto la sfortuna di far uccidere solo poche centinaia di uomini non si ritiene soddisfatto, perché così perderà il gioco, si capisce; capita però che i suoi valorosi ne ammazzino a migliaia e migliaia, e allora si festeggia e si canta a squarciagola in una lingua sconosciuta a tutti quelli che hanno combattuto, sono canzoni antiche, che appartengono alle antiche tradizioni del popolo: questi giovani non sanno proprio nulla.
In tutto ciò (questo è importante per il realismo del gioco), non c’è un solo uomo che osi levarsi contro i flagelli e i crimini e i delitti e le devastazioni del gioco della guerra. In effetti sarebbero solo delle voci stonate, un controcanto che non riconosce le tradizioni, l’amore per la terra e la gloria dei popoli, a scapito di altri. In effetti cosa avrebbero da obiettare codesti moralisti, e più importante ancora: cosa importa ormai di concetti quali l’umanità, la pietà, il rispetto, la temperanza, la saggezza, quando con qualche grammo di piombo ci si può divertire uccidendo da pochi passi ragazzi ventenni, che muoiono fra tormenti indicibili, in mezzo a migliaia di altri moribondi, e le città possono essere distrutte completamente dal ferro e dal fuoco…in cui gli ultimi suoni che odono le orecchie sono le grida delle donne e dei bambini che muoiono sotto le rovine…già, cosa importa.
B: Incredibile, incredibile, sono senza parole…sei un genio! Dai cominciamo subito.
A: Grazie. Cominciamo, sono pronto.

Salvatore Desari

Salvatore Desari, nasce a Vittoria, nel 1978. Frequenta il Liceo Scientifico a Vittoria e l'Università di Giurisprudenza a Catania. Da sempre libero appassionato di lettura e scrittura.

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