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La “casa-grotta”

Antonio Barone 14 aprile 2024


La crisi delle strutture statali durante i secoli del Tardo Impero, con il progressivo abbandono degli agglomerati urbani da parte delle popolazioni, soprattutto quelli lungo le coste, e la recessione economica che investì tutto il Mediterraneo fra il V e il VI secolo, causarono la trasformazione del sistema fondiario e il sorgere di piccoli centri rurali sparsi nelle campagne dell’ex-Impero.
In questo contesto storico-politico e socio-economico si sviluppa un tipo di insediamento abitativo - quello rupestre – che, per certi aspetti, richiama manifestazioni tipicamente preistoriche, e che nei secoli del Medioevo interessò ampie zone dell’area siriaco-palestinese, della Cappadocia, dell’Egitto e dell’Italia centro-meridionale.
Il sorgere di questi insediamenti rupestri è legato al processo di ruralizzazione che permette una maggiore autonomia economica in un sistema dove la circolazione della moneta è sempre più ridotta. Il fenomeno si accentua all’epoca dell’occupazione della Sicilia da parte dei Vandali sino alla guerra greco-gotica che porterà l’Isola a far parte dell’Impero d’Oriente.
La presenza di centri urbani è attestata lungo le zone costiere; nell’altipiano ibleo, in modo particolare a Ragusa dove il centro urbano è stato oggetto di ricerca e di studio; nella parte centrale dell’Isola centri abitati noti sono quelli di Sofiana e Butera, vicino Caltanissetta e, naturalmente, Agrigento. (1)
Ma l’aspetto più caratteristico è il proliferare di numerosi insediamenti rupestri, segnalati in tutto il territorio isolano, soprattutto nella cuspide sud-orientale e lungo i corsi d’acqua che dall’altipiano ibleo scendono verso il mare, grazie anche alla natura geomorfologica della zona che favoriva questo tipo di aggregazione umana.
Il più noto fra questi insediamenti è certamente quello di Pantalica, nel territorio fra Sortino e Ferla; sono da ricordare inoltre quelli del Siracusano, della zona di Lentini, sull’altopiano di Modica, quelli nell’agro di Comiso e nella zona di Chiaramonte.
Come affermava in una sua indagine sull’habitat nell’Italia bizantina, lo studioso André Guillou, “…La struttura dell’habitat rurale…non corrisponde…ad alcun modello trasmesso, ma piuttosto corrisponde allo sforzo costante dell’uomo a raggrupparsi nelle prossimità delle fonti elementari di esistenza…Questa necessità del beneficio collettivo dei mezzi di produzione…si manifesta concretamente per l’utilizzazione dell’acqua…Gli abitati rupestri posti tra la via d’acqua e la terra arativa trovano anche là una delle loro ragioni d’essere in zona di coltura a predominante arboricola”. (2)
Purtroppo le fonti storiche contemporanee al fenomeno rupestre, in particolare per l’area siciliana, sono avare di notizie. Paolo Diacono, nel racconto del sacco di Siracusa da parte degli Arabi nel 669, ricorda che i Siracusani “per munitissima castra et iuga confugerunt montium”. (3) La stessa notizia ritroviamo nel Liber Pontificalis dal quale, peraltro, sembra attingere Paolo Diacono.
Questi “iuga montium” richiamano certamente gli insediamenti rupestri sparsi nelle cave montane del siracusano e dell’altipiano ibleo, e diverranno un “topos” nella contemporanea letteratura agiografica, di cui l’esempio più noto è il racconto del martirio dei tre santi lentinesi, Alfio, Cirino e Filadelfo.
A questa scarsità di notizie documentarie e storiche ha cercato di sopperire durante il secolo scorso la ricerca archeologica, che ha evidenziato come il fenomeno rupestre di età medievale non nasca solo dal riutilizzo di aree cimiteriali precedenti - dato dalle affinità geomorfologiche che ne permettono lo scavo e dalla facilitazione all’insediamento dovuta alla presenza di ambienti già strutturati -  ma anche come “modus vivendi” alternativo a quello “costruito”.
Si deve agli studi di Paolo Orsi, agli inizi del XX secolo, e dopo di lui degli Agnello, di Uggeri, di Messina e di pochi altri studiosi se il fenomeno rupestre in Sicilia oggi appare nella sua giusta dimensione: un fatto ambientale legato alla struttura geomorfologica e climatica del sito prescelto per l’insediamento, piuttosto che legato agli ambienti monastici cenobitici di provenienza greca che lo avrebbero fatto conoscere solo in una seconda fase. (4)
La storia socio-economica della cuspide sud-orientale della Sicilia s’innesta in quella più generale di tutta l’Isola nei secoli del Tardo-Impero e dell’Alto Medioevo. Il quadro storico è mutato rispetto a quello della Sicilia in età classica e nei primi secoli dell’impero : si assiste ad una crisi demografica che crea nuovi assetti sia nelle aree urbane che nelle campagne, dove sorgono ville, fattorie, centri rurali.
Nel corso del VI secolo, assieme all’abitazione in mattoni o blocchi di pietra calcare, viene adottato un altro tipo di aggregamento umano, meno comodo della casa costruita, ma in compenso più sicuro : la grotta.
I nuovi agglomerati, nascosti tra la vegetazione arboricola, sfruttarono, riadattandole, aree cimiteriali precedenti per soddisfare le mutate condizioni di vita.
Le grotte, poste vicino ai terreni arati e alle fonti d’acqua, presentano generalmente una struttura elementare ma molto funzionale. Nelle loro vicinanze sorgono, in molti casi,  il luogo di culto (oratori rupestri, piccoli cenobi monacali), il “trapetum” di uso comune.
Il sistema economico riflette la mutata situazione storica : l’agricoltura, basata dapprima sul latifondo, si converte gradualmente verso colture diversificate, mentre gli scambi commerciali – sempre con l’Oriente bizantino – sembrano ridursi ulteriormente.
La facies rupestre nella zona iblea quasi certamente è da riferirsi ad una fase abitativa risalente ai secoli centrali del Medioevo (IX-XI secolo), quale fenomeno che ha accompagnato la concentrazione antropica su siti naturalmente muniti, o caratterizzato la prima fase dell’incastellamento, sebbene si può attestare un loro utilizzo in epoche precedenti. Certo è invece l’utilizzo, su basi documentarie e su dati monumentali, per alcuni siti importanti come quelli di Cava d’Ispica, Scicli e Modica, degli ambienti rupestri almeno sino ai secoli XV-XIX.
Purtroppo queste testimonianze di un variegato popolamento in epoca altomedievale in tutto l’altipiano ibleo, risultano spesso abbandonate, o coperte dal tessuto urbano moderno, o devastate dai fenomeni sismici o dalla mano dell’uomo che le ha private di qualsiasi manufatto, alterandone in molti casi anche la struttura. La mancanza poi di depositi archeologici  all’interno delle grotte ha reso difficoltoso, in alcuni casi , un inquadramento cronologico certo.
Si può ormai affermare in maniera definitiva il valore economico-sociale, oltre che religioso e artistico, del fenomeno trogloditico, di questa particolare tecnica edilizia “per sottrazione”, che non risulta essere qualitativamente inferiore a quello “costruito” subdiale, ma espressione di uno sviluppo parallelo e simile della rinata società siciliana in epoca normanna.

1)   AGNELLO b, 1969, pp. 45-58; FALLICO, 1969, pp. 177-183; D’ANGELO, 1976, pp. 381-387; UGGERI, 1974, pp. 195-230; LAGONA, 1980, pp. 111-130.
2)   GUILLOU, 1976, pp.140-154
3)   PAOLO DIACONO, 1991, p.150
4)   AGNELLO a, 1940, pp. 3-18; 1952, pp. 7-29; MESSINA, 2008,  p.17, p.54

Antonio Barone

Vive a Licodia Eubea, piccolo centro della provincia catanese, nel comprensorio dei Monti Iblei. Da 35 anni lavora nel mondo della scuola come docente di materie umanistiche nei licei. Scopre la scrittura durante gli anni universitari, come naturale espressione del proprio mondo interiore e della relazione con l’Altro, alternando la scrittura poetica a quella dei racconti. Ha curato, inoltre, la prefazione e la presentazione di numerosi libri e la realizzazione di numerose mostre.

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