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Voli

Giuseppe Cusumano 14 novembre 2024


Per uno dei miei silenti compleanni, mi sono regalato lo spettacolo itinerante di Daniel
Pennac, al Massimo di Catania, ed è praticamente successo di tutto: blackout, schermo che non proiettava, musiche che non risuonavano, ma lui non ha fatto una piega, anzi – ha improvvisato a getto continuo, come un bambino lasciato libero di giocare; la disegnatrice che lo accompagnava, Madame Florence Cestac, anche lei pare essersi compostamente divertita, seduta nel suo angolo in una penombra del palco.
Dunque, un evento teatrale.
A fine spettacolo, Daniel Pennac si è defilato durante la cascata di applausi, prendendo posto all’interno della vecchia entrata secondaria del teatro catanese, per accogliere i più curiosi.
E così mi intrufolo, lo raggiungo e attendo il mio momento. E lui continua ad avere, per tutto il tempo, lo stesso identico sorriso d’inizio spettacolo, con il vivace ciuffo di capelli quasi poggiato sui suoi tradizionali occhialetti. Mi stringe la mano, e io gli allungo la mia copia del suo ultimo libro, Un amore esemplare, mi complimento per il suo italiano, mi risponde che il suo sangue contiene qualcosa di italiano e che pensa di averlo persino individuato, questo qualcosa. Mi chiede comunque di scandire bene le mie parole, “s’il vous plait”. I signori addetti del teatro se ne stanno lì semimbambolati, probabilmente consapevoli di dover fare gli straordinari.
E così, gli dico “Maestro, renda unico il mio libro…”, lui mi sorride ancora di più, quasi con timidezza, e chiede il mio nome. “Giuseppe, per molti amici Peppe, ma sostanzialmente Giuseppe…”, rispondo, e allora si volta verso Madame Florence e le suggerisce in francese la dedica da schizzare a colori.
“Ho trovato molto bella la storia, molto fumettistica ma anche molto ‘colta’… Mi è piaciuto immensamente il riferimento a Proust, la ‘cattleya’ della strada di Swann…”, e allora lui si mette a sedere sistemandosi gli occhiali, come quando si deve iniziare un discorso che non è più così sbrigativo come potesse sembrare primo visu.
“Vedi Giuseppe… io non penso sarei mai diventato uno scrittore se non avessi amato i fumetti come li amo ancora. I fumetti mi hanno aperto le porte della letteratura, e se sono anche io quasi un fumetto un motivo c’è, voilà…”, e apre compostamente le braccia reclinando su un lato il capo. Gli dico che anche io amo i fumetti, e che grazie a loro – ancora oggi! – imparo molte cose, “Abbiamo bisogno (lo afferma con enfasi) che una parte di noi rimanga piccina, che riesca a volare come un palloncino, anche se col filo nelle mani di un adulto… Chi lo dice che dobbiamo crescere e diventare grandi? Le due cose non devono coincidere (si impasticcia dicendo ‘coincidere’, lo aiuto io), si può crescere anche rimanendo bambini. Tu hai riconosciuto Proust, vuol dire che hai letto molto e bene, penso che non siano in tanti a riconoscere Proust leggendo un fumetto. I bambini lo imparerebbero molto prima rispetto a una persona adulta, se solo smettessimo di dir loro che i fumetti sono roba per bambini…”
Nel frattempo, Madame Florence ha ultimato il suo disegno, e Pennac verga allora il suo imprimatur, dapprima sul libro con dedica disegnata, e poi sul libro che regalerò alla mia Prof. È grazie a lei che ho conosciuto Proust, e tanto altro. (gli chiedo anche qualche autografo per gli amici, non si sa mai).
Allora mi chiede da quanto tempo conosco Malausséne, “Saranno almeno vent’anni, questo è il primo che ho letto, poi sono andato a ritroso leggendo il primo della saga, e poi gli altri…”, mi osserva aspettando che io aggiunga altro, “Ma questo è stato il primo, e occupa sempre un posto fisso sul mio comodino, tra quei libri che non hanno mai fine…”.
“Non sono i libri ad avere una fine, forse sei proprio tu a volere che non abbiano una fine…”, solleva lo sguardo e mi fissa dritto negli occhi, si sistema gli occhiali e si dispone ad una nuova curiosità, “Ti è mai capitato di interrompere una lettura perché non ti piace?
Ecco, se ti è capitato allora dico: è un tuo diritto. Non per i soldi che hai speso, o per il tempo che hai perso, nonono… Ma perché è importante poter avere il gusto di decidere, ogni tanto, cosa ci piace e cosa no…”
Ecco, ora i custodi danno chiari cenni di smania, e a poco a poco si spostano di qualche centimetro verso di noi, Madame Florence mi saluta con un cenno grazioso della mano e del naso, e scompare dietro la porta scortata da uno dei due ragazzi (il quale non vedeva l’ora di ‘spalombare’ – passatemi il termine etneo, volare via come una colomba).
“Maestro, anche io sono un po’ Malausséne, sa?...”, lui ha già fatto scivolare il mio amato libro verso di sé e ora ticchetta con la penna, indeciso tra dedica e ascolto, “Pourquois?...”, “Sono un impiegato, responsabile di un qualcosa proprio come Benjamin Malausséne, e come lui rispondo di qualunque problema… Dal budget fino al lavandino che non funziona, dal cliente che accusa un malore o si inalbera, fino alla procedura che va a rilento, o a un fascicolo fuori posto…”, man mano che vado raccontando il suo sorriso si apre sempre di più.
“Non è un caso, Giuseppe, il mondo è e sarà sempre più pieno di capri espiatori (lo dice in francese, ma lo capisco uguale) come lui. Nel futuro sarà sempre più difficile gestire i problemi, i rapporti personali e sociali sono sempre più complessi e schematizzati infinitesimalmente (lo dice in francese, quasi scusandosi e attendendo un mio cenno di comprensione), più tecnologia vuol dire anche più possibilità che non funzioni, e vuole dire anche più persone mal disposte (addiveniamo ad un accordo linguistico che soddisfa entrambi, dicendo ‘mal disposte’) a tollerare quei problemi che prima non esistevano e non si immaginavano… Servono persone sulle quali scaricare responsabilità, nessuno sarà più disposto ad ammettere un errore, tutto gira intorno ai soldi e all’apparenza, e tutto ci sembra permesso e lecito in un mondo in cui l’umanità… (fa un gesto con le mani che indica come qualcosa che si sbriciola). E allora, ecco la proliferazione abnorme di Malausséne nel mondo…”, fa cenni rotanti con le mani e le braccia, “Tu non sei una eccezione, sei la normalità, au jourd’hui…”, “Et voilà!...”, gli faccio eco anche col sorriso.
Adesso è uscito da dietro quel ripiano, passando in mezzo ad una strettoia per venirmi incontro: non è molto alto, ma a me sembra un gigante. “Allora coltiverai una qualche piccola pazzia, viaggerai in un universo parallelo, per non farti inghiottire… ingoiare… da questa nuova normalità…?”, così mi dice, mentre tiene ancora in mano il mio libro-senza￾fine, come se volesse conoscermi un pochino meglio prima di farmi LA dedica, quella vera (come si fa tra buoni amici, mi illudo, sogno).
“Scrivo, Maestro. Attingo, assorbo, sedimento, elaboro, trasognando i grandi scrittori, trasvolando tra passato e continenti. Mi piace leggere dentro alle sue parentesi, come lei scrive sono davvero ‘il sottofondo della vita’. E poi esplodo, scrivo, viaggio dentro mondi miei, sorvolo costellazioni, con personaggi mosaico, e non smetterei. Anzi, forse non smetto…”, lui mi guarda con aria bonaria, magari sto dicendo qualcosa che lo colpisce davvero. Interrotto dal colpo di tosse del custode rimasto, un giovane abbastanza robusto.
“Magari è il mio modo di volare altrove”.
Ecco, ora si è appoggiato sul ripiano, mi dà le spalle mentre lo vedo che sta scrivendo qualcosa, la mia dedica, o sta tracciando linee, non capisco. Vedo l’uomo, la scintilla accesa, la statura del (mio) mito. Poi, si gira verso di me, ha richiuso il libro e ticchetta con la penna prima di darmi la mano e salutarmi: senza dire più una parola.
(Tranne “Bonne chance, Peppe!”)
Esce prima di me senza più voltarsi, ringrazia con il consueto slancio il custode, e a me non pare vero di averlo incontrato e di averci scambiato due chiacchiere.
P.S.: la sua dedica è un pupazzetto stilizzato, in volo, con in mano un vessillo con su scritto “VIVA PEPPE”, a cavalcioni su una stilografica, sopra una nuvola e sotto il sole, con qualche gabbiano (immagino siano gabbiani, mi piacerebbe molto) intorno.

Giuseppe Cusumano

Giuseppe Cusumano è nato nel 1968 in un paesino del Polesine che oggi non esiste più, da genitori etnei di Militello in Val di Catania. Vive a Ragusa da oltre 40 anni e scrive quasi da sempre, da mancino corretto: ama la musica, nuota e si diletta di fotografia, ha praticato calcio e arti marziali, si nutre di libri, di natura e di umanità.
Risulta curioso, poco ortodosso, distrattamente attento, dotato di ottima memoria - e anche per questo dicono soffra di ‘retrotopia’.
Di professione Malaùssene, da nove anni coordina un Progetto di volontariato (nato in Ambasciata e radicato presso la missione di Kitanewa) per la costruzione di scuole di ogni ordine e grado nella regione di Iringa, in Tanzania, e continua a farsi correggere i compiti dalla sua prof di lettere.
Ha pubblicato diversi racconti e articoli, un diario di viaggio africano (Quaderni tanzani, OperaIncerta Editore), un romanzo (La terza banca, La Zisa Ed., recensito su Repubblica), e incredibilmente una raccolta di poesie (Minimalia, Libro Italiano World Ed.).
Saltuariamente ha scritto su un blog, ma non è cosa sua.
In compenso, a breve pubblicherà il suo nuovo romanzo, ambientato in Africa, dal titolo Agli elefanti invece sì, editore cercasi.

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