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Un ultimo abbraccio

Sara Sigona 14 settembre 2024


Come ogni viaggio, anche l’amore può finire.
Con il finire dell’amore si arresta il movimento verso l’altro: il corpo, l’immaginazione, i sentimenti e le passioni si fermano, segnando il compimento di due esperienze che si sono confrontate in uno spazio esistenziale ed emozionale comune.
Nella seconda metà del Novecento, gli artisti Marina Abramović e Ulay sono legati da un’intensa storia sentimentale e artistica, che cattura l’attenzione del mondo. Lei serba naturalizzata statunitense, lui tedesco, si incontrano ad Amsterdam nel 1975, agli esordi delle loro carriere.  Diventano presto figure di spicco della Performance Art, fondendo le loro vite in una simbiosi creativa unica.
Per anni vivono una vita nomade, girovagando per l’Europa a bordo di un vecchio furgone Citroën, insieme al loro cane Alba.
È una vita condotta senza acqua, senza riscaldamento con quel poco che riescono a guadagnare dalle loro performance.
“Nel ricordare quegli anni, ripenso alla totale libertà che abbiamo avuto. Sono stati alcuni degli anni più felici della mia vita”, scrive l’Abramović nel memoriale dedicato a Ulay, scomparso il 2 marzo 2020.
È in questo contesto di viaggio e creatività incessante che Abramović e Ulay concepiscono il manifesto “Art Vital”, che esprime i valori della loro convivenza: “Nessuna dimora stabile, movimento permanente, contatto diretto, esposizione al caso, reazioni primarie, superare i limiti, correre i rischi, nessuna prova, nessun finale stabilito”.
“Ci sono coppie che, quando iniziano a convivere, comprano pentole - racconta Marina Abramović nella sua biografia “Oltrepassare i muri” - Ulay e io cominciammo a progettare di fare arte insieme”.
La loro relazione passionale è come una fiamma alimentata dalle alchemiche energie dei due artisti, nati nello stesso giorno, il 30 novembre, e uniti da tante speciali connessioni, il cui reciproco disvelamento li porta a respirare la stessa aria e a sentire i cuori battere all’unisono. “Ciascuno finiva le frasi dell’altro, sapendo esattamente che cosa aveva in mente, anche quando dormiva; parlavamo in sogno e nel dormiveglia, e poi ci svegliavamo e continuavamo il discorso”.
Si considerano un’entità unica, nata dalla combinazione del maschile e del femminile, che chiamano Quell’io.
Le loro prime performance, come “Relation in space”, realizzata alla Biennale di Venezia del 1976, esplorano il tema dell’amore e delle relazioni sociali, attraverso il corpo: nudi, i due camminano l’uno verso l’altro, prima sfiorandosi, poi urtandosi, in maniera sempre più violenta. “Eravamo innamorati – ricorda Marina – e gli spettatori non potevano non percepire la nostra intensa relazione. Ovviamente c’erano molte altre cose che ignoravano, e molte altre che proiettavano su di noi mentre continuavamo a ripetere quella strana azione. Chi eravamo? Perché ci scontravamo? Nella collisione c’era ostilità? Oppure c’era amore, o pietà?”.
Segue, in continuità, la performance “Relation in time”, durante la quale gli artisti rimangono immobili, per sedici ore, seduti schiena contro schiena, con i capelli intrecciati a costituire un’unica entità che, seppur inseparabile, non può comunicare;  in “Breathing in/Breathing out”(1977),  mantenendo un contatto bocca a bocca per venti minuti, condividono il respiro fino a svenire per la mancanza di ossigeno, dimostrando come perdere la propria indipendenza abbia avuto su di loro ripercussioni infauste;   AAA-AAA (1978)  in cui urlano l’uno contro l’altra con l’obiettivo di emettere il verso più lungo e più forte, dando forma alla lotta, silenziosa e sfiancante, per prevaricare sulla vita dell’altro.
Agli inizi degli anni Ottanta i due artisti realizzano una nuova performance video, “Rest Energy”, dove Ulay tende una freccia puntata dritta al cuore di Marina, simboleggiando la fiducia assoluta nell’altro e al tempo stesso la vulnerabilità.
Con il passare degli anni, la loro relazione comincia a incrinarsi. È il 1988, Marina e Ulay decidono a di attraversare la crisi, realizzando un progetto performativo a cui lavorano da tempo: “The Lovers”. Partendo dagli estremi opposti della Grande Muraglia Cinese, i due compagni avrebbero dovuto percorrere a piedi il perimetro dell’imponente costruzione, andandosi incontro.
Tre mesi dopo l’inizio del cammino, dopo aver percorso 2500 km, a metà della lunghezza della Muraglia, la realtà non è quella immaginata. “Invece di vedere Ulay venirmi incontro dalla direzione opposta, lo trovai ad aspettarmi in un punto estremamente scenografico…Aveva distrutto la nostra idea per motivi estetici. Scoppiai a piangere e lui mi abbracciò da compagno, non da amante. Un abbraccio privo di ogni calore”.
In quel preciso istante si conclude la straordinaria avventura che aveva legato indissolubilmente vita e arte.
Affrontare un cammino lungo e tortuoso, addentrarsi in questo serpente di torri, pietra, scale, gradoni e sabbia, irto di difficoltà, tra mura e baluardi, salite e discese, è stato un incedere su una linea di confine millenaria nata con l’idea di difendere l’Impero Cinese dai barbari.
Per il loro rapporto ha rappresentato l’aprirsi alla possibilità di una contaminazione e al pericolo di una mutazione sotto la volta celeste.
Trent’anni dopo, nel 2010 durante la performance “The artist is present”, al MOMA di New York, Marina Abramović seduta ad un tavolo, attende che i visitatori a turno si seggano davanti a lei guardandola negli occhi per un numero illimitato di ore. Improvvisamente dal folto pubblico che affolla il MOMA, sbuca Ulay che si siede al tavolo. Marina alza lo sguardo e incrocia gli occhi di Ulay. I due sono presenti l’uno all’altro. Fiumi di emozioni affiorano rendendo questo incontro memorabile, emozionante ed epico.
Dopo anni, in pochi istanti, senza parole, ricordare il passato, raccontare il presente per lasciare definitivamente lo spazio comune da tempo disabitato ma ancora esistente.
La fine del viaggio diviene l’inizio di una nuova scrittura: il racconto del viaggio nel viaggio.

Marina Abramović e Ulay al MOMA di New York

 

Sara Sigona

Giornalista pubblicista e insegnante, scrivo con la luce e con l’inchiostro sin da bambina. Fonte di ispirazione il viaggio lungo paesi del mondo e paesaggi esistenziali della contemporaneità.

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