Nel 1981, giusto qualche anno dopo la rocambolesca entrata in vigore della Legge n. 898 del dicembre 1970, che ammette e regolamenta il divorzio in Italia, Giorgio Gaber all’interno dello spettacolo teatrale Anni affollati presenta un brano dal nome Il Dilemma.
Gli spettacoli di Gaber e Luporini, durante il loro lungo sodalizio, hanno affrontato, sempre in modo provocatorio e facendo discutere, temi disparati che hanno toccato l’impegno politico e la salute mentale, la decadenza borghese, il perbenismo e l’ipocrisia, passando per le disuguaglianze sociali, le stragi di Stato, l’appartenenza. Due grandi osservatori del nostro tempo che non potevano non trattare anche le questioni più intime come il rapporto tra uomo e donna, la famiglia, i figli, le relazioni sentimentali e le relative implicazioni con se stessi.
Le prime digressioni iniziano già agli inizi degli anni settanta con brani come Il signor G e l’amore, la divertente È sabato o l’irriverente narrazione de La Comune.
Dunque, nasce Il Dilemma che con una dolcissima melodia rappresenta un punto maturo e serio di riflessione sull’unione tra uomo e donna, un momento di valutazione sull’esistenza e la sopravvivenza stessa del rapporto. Il dilemma, d’altronde, è quello di sempre: “se aveva o non aveva senso il loro amore”.
Il brano racconta semplicemente una storia d’amore, “per altro senza importanza”, come si autodefinisce, che incespica, vive un tradimento, diventa incerta e poi muore. O vive in base alle interpretazioni.
In un’intervista del 1985 alla domanda di Giovanni Minoli lo stesso Gaber risponde che “non è mai chiaro come nascono le cose, forse il desiderio di raccontare una storia o forse come una reazione a un atteggiamento dell’epoca. Ecco, io direi che spesso noi abbiamo questo desiderio di intervento, non tanto l’idea di fare una bella canzone, ma qualcosa che in quel momento abbia un senso, un significato”.
Gaber e Luporini sentono il bisogno di riflettere sul nuovo impulso di libertà che viene dato al sentimento in quegli anni, “finalmente più nessuna repressione, anzi, per alcune coppie l’infedeltà è una specie di garanzia di modernità” contestualizzanoi due autori. D’altronde sono gli anni settanta e ottanta, anni narcisisti e moderni, un periodo in cui si fa prepotente la “smania di dare ascolto ai brividini del cuore”. In questo modo “si distruggono coppie e nuovi amori nascono come funghi in una strana euforia di cui il fallimento sembra la normale conclusione”.
Ancora, Gaber e Luporini si chiedono se “proprio nella fedeltà si potrebbe trovare una risposta diversa? No, non la fedeltà alle istituzioni e neanche alle regole del buon senso antico ma… la fedeltà a noi stessi”. Questo il nodo cruciale del brano. Non c’è moralismo o attaccamento cieco ad un patto di unione ma il voler ribaltare il piano, ancora una volta fornire un punto di vista fuori dal coro, controcorrente e rivoluzionario nel suo essere conservativo e non conservatore. Gaber, non solo nella canzone, ma anche nei monologhi a teatro, denuncia l’aspetto un po’ infantile del tradimento e del rinunciare a lottare per qualcosa di vero; ribadisce come “sia chiaro che il momento dell’innamoramento è esaltante, ognuno ha gratificazioni sul piano dell’accettazione ma poi questo aspetto così entusiasmante finisce e, in qualche modo, la coppia si ritrova a gestire una normalità che è faticosa e più impegnativa, che richiede più responsabilità. A questo punto la capacità di andare a fondo in un rapporto e quindi vivere una trasformazione più profonda del progetto iniziale, fare dei figli, costruire nuovi equilibri, richiede fatica. Si preferisce continuare a innamorarsi per non arrivare al nocciolo della questione che è quello di prendere un impegno serio con l’altra persona e cercare di portarlo più in là possibile”.
Se la storia finisce si può dare la colpa all’epoca o alla storia, alla stanchezza, alla responsabilità, al tempo che passa. Il tradimento è uno degli avvenimenti che si incastonano perfettamente in questo vacillare del sentimento. “Lui rincorse lo sguardo di una fanciulla nuova, non si sa se era innocente come un animale o era instupidito dalla vanità. Lui parlava quasi sempre di speranza e di paura, l’essenza della sua immagine futura, cercava la verità. Lei lo ascoltava in silenzio, lei quella verità la possedeva già”.
Tuttavia nonostante la prevedibile infedeltà, la coppia de “Il dilemma” non si lascia, perdona, va avanti e cerca, morendo, di rinascere con nuovo impulso. “La voglia di non lasciarsi è difficile da giudicare, non si sa se è una cosa vecchia o se fa piacere. Ai momenti di abbandonano alternano le fatiche con la gran tenacia che è propria delle cose antiche. Il succo di questa storia si potrebbe chiamare resistenza”.
Giorgio Gaber ha parlato abbondantemente di resistenza in termini sociali e politici, ma in questo testo sottolinea il concetto attraverso una luce nuova. La parola resistenza è proprio il desiderio di opporsi ai brividini, alla sensazione infantile di essere accettati continuamente, di avere conferme, questo bisogno, in qualche modo, di esaltarsi nell’innamoramento. Un modo per evitare che quando le primordiali impalcature cadono il sentimento si esaurisca e la storia finisca.
La domanda della canzone risiede in questo dubbio: si è ancora capaci di amare davvero o invece si fa finta, in un momentaneo trionfo di sentimenti ed emozioni? Il dilemma si chiude con gli amanti che si danno la morte. “Non per una cosa astratta come la famiglia, loro scelsero la morte per una cosa vera come la famiglia. Forse quel gesto disperato potrebbe rivelare il segno di qualcosa che stiamo per capire”.
Formazione tecnica, studi umanistici, lavoro sociale e, oggi, responsabile delle risorse umane di una Fondazione. Da oltre vent’anni professionalmente divisa tra numeri ed essere umani, parole e cifre, discipline artistiche e rendiconti. Ho collaborato con varie testate giornalistiche e faccio parte del consiglio di disciplina del CROAS. Operaincerta, dunque, ma stabile nei valori essenziali, primo su tutti, la famiglia. Scrivere, come leggere e viaggiare, sono passioni per condividere esperienze, impressioni e sogni.
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