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Per fare l’albero ci vuole il seme

Sergio Guastella 14 febbraio 2024


Piantala di piantare piante senza guardare prima la pianta dell’impianto”. In un primo momento restai interdetto. Non riuscii a capire cosa volesse dirmi mia moglie con quella frase polisemica gridata dalla finestra. Vidi solo che mi guardava con piglio severo e mi intimava di fermarmi.
Di acchito mi venne di risponderle “sotto la panca la capra campa…”, ma mi accorsi subito che era troppo incazzata per cogliere la mia ironia e desistetti.
Mi girai lentamente e guardai il solco lungo cui, fino a quel momento, avevo proceduto carponi nel giardino di casa per impiantare i semi dei cavoli e delle zucchine che tenevo in mano. Mi accorsi che, in più punti, zampillava dell’acqua. Riposi quindi il punteruolo che fino ad allora avevo usato per bucare la terra e corsi a chiudere la valvola dell’impianto di irrigazione.
Poi, mi voltai verso la finestra dove era affacciata mia moglie e allargai le braccia rivolgendole uno sguardo pietoso e implorante perdono. Ma non bastò. “Lo fai apposta” – continuò a gridarmi Carla - “la verità è che non hai mai sopportato le piante in giardino e fai danni di proposito per boicottarmi l’orto”.
In effetti non si sbagliava, perlomeno con riferimento alla mia ostilità all’orto. Ogni volta che veniva il mese delle semine per me era un supplizio. Procedevo ad adempiere al mio dovere della semina senza voglia né cura e stavolta l’avevo fatta davvero grossa: avevo bucato tutti i tubi dell’impianto.
Non era vero, però, che lo avessi fatto apposta. Ma non osai ribattere.
Da quando nostro genero Giangi aveva suggerito a mia moglie di sostituire il prato verde del giardino con un orto, ogni autunno Carla iniziava a portare a casa bustine di semi che acquistava in vari negozi specializzati e che poi riponeva sulla scrivania del mio studio come implicito invito a impiantarli.
Ma io quelle buste le guardavo proprio con odio. Non le sopportavo. Mi sentivo intollerante già alle zucchine, ai piselli e ai cetriolini che erano raffigurati lucidi e carnosi nelle foto. E quasi godevo quando Giangi per telefono mi riferiva i progressi nel suo orto di casa e mi chiedeva se anche noi avessimo seminato qualcosa. Gli rispondevo sempre che piantavo poche piante a settimana per evitare che poi il raccolto maturasse tutto insieme. Ma la verità era che proprio non ce la facevo a scuotermi dal mio torpore per adempiere al mio dovere.
Quell’anno, poi, per invogliarmi avevo perfino scaricato sul mio telefono la canzone di Sergio Endrigo, con il ritornello che mi ricordava che per fare il frutto ci vuole il seme. Ma il mio pollice, in vero, non era mai stato verde e, spesso, nemmeno quella canzone riusciva a scalzarmi dal divano, dissuaso com’ero dal pensiero che il frutto si potesse trovare anche, e più comodamente, al supermercato senza la rottura di scatole di impiantare il seme.
In linea teorica non è che l’idea dell’orto in casa o del giardinaggio mi dispiacesse. Amazon mi aveva proposto sistemi automatizzati di irrigazione che riducevano l’impegno al minimo essenziale, piccole serre di coltivazione idroponica che mi avevano affascinato senza capire bene a cosa servissero. Giangi poi mi inviava continuamente su WhatsApp dei tutor su come innestare, concimare ed irrigare le piante. Tutto bello, utile e moderno.
Ma quando dalla teoria dovevo passare alla pratica i miei buoni propositi si dissolvevano subito pensando al supermercato all’angolo vicino che aveva ogni cosa potessi desiderare e che, ormai da più di un anno, aveva introdotto perfino un funzionale servizio di consegna a domicilio. Ed ogni buono proposito svaniva in un attimo.
Il mio giardino quindi, per quanto ampio, lo immaginavo sgombro da piante e privo della conseguente fatica per mantenerle. Con, al massimo, un ombrellone e una comoda sdraio su cui stirarmi a leggere un buon libro, magari fumando un Toscano e piluccando nel contempo l’uva appena comprata al supermercato.
Mi vergognavo in effetti dei miei pensieri che io stesso giudicavo retrogradi, non al passo con le idee moderne di consumo a chilometro zero o di sostenibilità della filiera. Condividevo pienamente l’esigenza di una svolta green che mio genero propugnava e mi sentivo responsabile di appartenere ad una generazione che aveva distrutto l’ambiente. Ma, se pensavo alla fatica che avrei dovuto sostenere per adeguarmi, mi assolvevo subito considerando che non avrei potuto essere io ormai, negli ultimi anni di vita che forse mi rimanevano, a cambiare il mondo.
Quelle rare volte in cui il mio nipotino Niccolò veniva a casa a trovarci ascoltavo con interesse ciò che aveva imparato a scuola sulla necessità di rispettare l’ambiente. Assecondavo le raccomandazioni che provenivano da suo padre sul rispetto degli animali e delle piante. Quando c’era lui in casa differenziavo i rifiuti in maniera maniacale, gli mostravo le formiche che passeggiavano alacremente nel giardino e camminavamo a balzi per scansarle e per non schiacciarle. Perfino, insieme, davamo da mangiare ai piccoli uccelli che erano nati nei nidi costruiti tra i rami e appendevamo piccole casette in legno per ospitare nuove covate.
Ma la verità era che di quelle piante proprio non me ne interessava nulla. Anzi, mi occupavano il giardino impedendomi perfino di fruirlo in certi punti. Solo per le piante grasse avevo un po' di pietà. Le vedevo corpulente come me, spinose come ormai anch’io mi ero ridotto e soprattutto resistenti e disposte a sopravvivere con poco, così come io facevo ormai da anni. Ma Giangi ripeteva sempre che le piante grasse fanno solo fiori, e i fiori non si mangiano.
Quel giorno, dopo l’incidente, Carla mi tenne il broncio per l’intero pomeriggio e mi parlò solo a monosillabe. Nemmeno la mia promessa di riparare subito al danno provocato la rasserenò. Anzi, dopo pranzo, mi raccomandò di non fare menzione di quanto accaduto alla sera quando nostra figlia Rita, col marito Giangi e il nostro nipotino Niccolò, sarebbero stati ospiti a cena. Stai zitto, mi raccomando, Giangi si dispiacerebbe – mi disse. 
Il mio genero milanese si era trasferito in Sicilia dopo il matrimonio con Rita ed era un convinto assertore della necessità di dare una svolta al mondo contrastando tutti i mali che lo minacciavano. A casa sua aveva sostituito tutte le luci con delle lampade a led a basso consumo, aveva creato un impianto di riscaldamento geotermico che, a detta sua, produceva più del necessario. E, soprattutto, aveva impiantato un orto moderno, coltivato e curato ogni giorno con dedizione e passione. Era un vero esperto e ne andava fiero.
Ogni volta che veniva a casa nostra non mancava mai di portare le verdure e i frutti del suo orto suggerendo a mia moglie cosa era opportuno fare per migliorare anche le nostre rinsecchite coltivazioni. E insieme, poi, mi indicavano come avrei dovuto farlo io.
E anche quella sera Giangi non si astenne dal somministrarmi consigli.
Caro suocero, l’irrigazione è la parte essenziale di un buon orto – declamò con accento milanese mentre ci invitava ad addentare la carota che aveva coltivato e che aveva portato a casa nostra incellofanata e lucidata con olio di sua produzione. Assaggiate questa delizia – disse, porgendola a pezzetti a tutti i presenti al tavolo. Il segreto, sta nell’acqua – aggiunse, guardandomi come se sapesse quanto era accaduto e volesse rimproverami qualcosa. Bisogna irrigare con giudizio: né troppo, né troppo poco. Soprattutto - continuò - bisogna irrigare di notte per risparmiare l’acqua che qui al sud manca e per contribuire a ridurre l’inquinamento nel mondo.
Carla e Rita annuirono all’unisono e si misero in bocca il tocchetto di carota che Giangi aveva loro offerto. Dichiararono di apprezzarne il gusto e il sapore e invitarono all’assaggio anche me e Niccolò che invece stavamo addentando con gusto i cannelloni fumanti che io stesso gli avevo servito poco prima. Entrambi rifiutammo l’offerta della carota e Giangi si risentì minacciando con lo sguardo me e Niccolò.
Noi a Milano è da anni che adottiamo questo metodo – continuò – innaffiamo solo alla sera e studi scientifici hanno dimostrato che, così facendo, abbiamo risparmiato almeno lo 0,1 per cento dell’acqua ed incrementato l’ossigeno nell’area di almeno lo 0,2 per cento. Per non parlare poi……
Non gli lasciai il tempo di continuare. Porca troia, ma non me lo dire! – gli replicai– ma sai che anch’io, da quando ho seguito il tuo consiglio e innaffio di notte, respiro meglio in questa casa? E perfino lo sciacquone del water mi pare che fluisca meglio e con più vigore. Mio genero, per la verità, dimostrò di non recepire l’ironia o, forse per non ribattere, mi rispose con un semplice - Te lo avevo detto.
Carla e Rita invece mi fulminarono con lo sguardo e la discussione sulle piante si interruppe subito. La serata proseguì con Giangi che continuò senza sosta a somministrare a noi tutti tocchetti di verdura e di frutta del suo orto. E che, sotto lo sguardo minaccioso di mia moglie e di mia figlia, finii per mangiare anch’io.
Alla fine della cena, portai Niccolò in giardino. La luna piena illuminava lo spazio circostante, le stelle apparivano nitide e diffuse nella volta celeste e perfino le cicale sembravano coinvolte nel celebrare col loro canto tanto splendore. Niccolò mi abbraccio forte, si accucciò al mio fianco e mi disse – Che bello il mondo nonno, ma era così anche quando tu eri piccolo?
Lo presi in braccio e lo condussi lentamente vicino al cancello dove i suoi genitori lo aspettavano in macchina. In lontananza si vedeva il mare su cui la luna si rispecchiava. Lo baciai teneramente e gli dissi – ricordati Niccolò, il nostro compito è quello di lasciare il mondo un po' migliore di come lo abbiamo trovato.
L’indomani, all’alba, mi alzai dal letto quando Carla ancora dormiva e mi precipitai a riparare i tubi dell’irrigazione. Dopo un’ora, avevo già finito di seminare. Preparai il caffè e andai a svegliare mia moglie che ancora dormiva. Mentre lei era ancora assonnata, le sussurrai all’orecchio – ho piantato le piante e stavolta ho guardato la pianta dell’impianto. In un primo momento mi guardò attonita, poi mi abbracciò felice, sorridendomi.

Foto di AxxL Jane Shaw, Pixabay

Sergio Guastella

Sergio Guastella è nato e vive a Ragusa dove, da sveglio, esercita per passione la professione forense e, quando dovrebbe dormire, sfrutta l’insonnia per immaginare altre vite.
Ha pubblicato Il Capitano (2014).
Il suo racconto Cose dell’altro mondo è stato pubblicato (2021) nel volume I racconti dell’ultimo bicchiere edito da LC Publishing Group.
Altro racconto Aspettando Totò è stato pubblicato (2023) nella raccolta di Autori Vari Racconti di Donnafugata edita da Kreativamente Editrice.

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