Via De Grasperi, 20 - 97100 Ragusa +39 348 2941990 info@operaincerta.it

L’isola di Pasqua

Salvatore Desari 14 febbraio 2024


La domenica di Pasqua del 1772 l’olandese Jacob Roggeveen sbarcava su un’isola del Pacifico a circa 200 miglia dalle coste dell’attuale Cile, isola che venne battezzata come isola di Pasqua. Alla fine dell’Ottocento l’isola era abitata da poco più di un centinaio di individui che vivevano in stato di degrado e denutrizione. L’isola di Pasqua era costellata, come lo è ancora oggi, da blocchi di tufo con grandi teste di pietra, i Moai, quasi 400 statue monolitiche.
Si legge che intorno all’anno 1000 l’isola di Pasqua era una terra fiorente coperta di foreste, in cui gli abitanti, decine di migliaia di individui, vivevano ricavando dal mare e dalla terra abbondante cibo convivendo tra loro pacificamente, i Moai invece, rappresentavano i simboli che le diverse tribù vollero col tempo costruire per differenziarsi dagli altri. Ma per costruire e trasportare le grandi teste occorrevano tronchi d’albero, e così gli abitanti dell’isola cominciarono ad abbattere alberi, sino a che l’intera foresta scomparve.
Gli abitanti dell’isola di Pasqua si accorsero dello scempio che avevano provocato quando, non avendo legno sufficiente, non riuscirono neanche a costruire le imbarcazioni per lasciare quell’isola divenuta invivibile. In sostanza i danni che la società causò alle risorse naturali da cui dipendeva ne causò anche la fine.    
Oggi la digitalizzazione completa e totalizzante sta conducendo la nostra società verso quella che può definirsi una “povertà di presenza”, una forma di assenza di mondo reale, al punto tale da non riuscire a percepirlo più in quanto tale se non come immagini, simboli (ieri in tufo, oggi virtuali), che si sostituiscono alla realtà, sottraendoci l’esperienza della presenza.
L’isola di Pasqua quindi come metafora della società attuale? Può darsi.
Gli smartphone, i computer, internet, ma soprattutto i social che hanno, se bene utilizzati, delle utilità positive immense, stanno trasformando l’Altro in qualcosa di consumabile, convertendolo in un oggetto, in un simbolo appunto, e non più in una persona vera e propria.
Stiamo via via perdendo l’esperienza della presenza, fonte di ogni ispirazione.
Solo l’esperienza reale delle cose (un fiore o un prato, una chiesa o una città, un panorama o una montagna, ecc.) o delle persone, di qualsiasi nazionalità esse siano, possono riempire di esperienza e consapevolezza la nostra vita.
Le non cose, i simboli e le immagini, di cui siamo circondati ogni giorno si depositano come polvere che a poco a poco ci appanna gli occhi e deforma la nostra percezione. Dobbiamo recuperare, invertire la rotta, riappropriarci della nostra vera essenza, piantando in noi stessi l’esperienza della presenza e farla crescere. Spegniamo lo schermo, rallentiamo almeno un poco questa ricerca di simboli non esistenti e cominciamo a dare una forma a questa presenza nel modo che più ci è consona, presenti a noi stessi e al mondo a favore delle nuove generazioni.

Foto di Lilithy, Pixabay

Salvatore Desari

Salvatore Desari, nasce a Vittoria, nel 1978. Frequenta il Liceo Scientifico a Vittoria e l'Università di Giurisprudenza a Catania. Da sempre libero appassionato di lettura e scrittura.

Contatti

Via De Gasperi, 20
97100 Ragusa

info@operaincerta.it

+39 3482941990

I nostri link

© Operaincerta. All Rights Reserved. Designed by HTML Codex