Via De Grasperi, 20 - 97100 Ragusa +39 348 2941990 info@operaincerta.it

Piedinudi

Giuseppe Cusumano 14 febbraio 2024


Se lo ricordava bene.
Guardava i suoi nudipiedi sempre più piantati dalla pioggia dentro a quel terreno molle, scuro come la lava. Il profilo dell’Etna era una ipotesi, e per un attimo gli sembrò di fare il medesimo suono delle foglie dell’albero di limone sotto quella pioggia dolce di novembre. Forse si sentiva davvero come un piccolo albero di limone, coperto da una cerata azzurra. Aveva 10 anni, o giù di lì, e togliersi le scarpe rappresentava per lui un gesto rivoluzionario. Suo nonno il principe gli aveva detto che per arrivare in alto è necessario sporcarsi a terra, e allora lui prendeva in prestito quelle parole del nonno per rispondere ai rimproveri di sua madre quando tornava impolverato o infangato verso la casa di mezzadria: un po’ come quando faceva il filosofo coi suoi amici, dopo qualcosa andata storta o una sconfitta a pallone, declamando quel proverbio - così nauseabondo e vero -  esattamente come lo declamava suo nonno, che non tutto il male viene per ‘nòcciole’ (gli amici, ovviamente, lo guardavano come si guarda un povero bambino pazzo o di un’altra parte del mondo).
Ricordava bene tutte le raccomandazioni di sua mamma, o di sua nonna, quando si allontanava insieme a Bettino, il figlio del mezzadro, più grande di lui di qualche anno – o forse anche più – col suo sacchetto di plastica, e dentro pane & acqua per entrambi, e qualche frutto, anche se i primi mandarini facevano già capolino dalla parte bassa del fogliame e tendere la mano per coglierli era una tentazione continua. Bettino portava le zappe per entrambi, e gli insegnava a fare le conche, i solchi e anche i filari. Era stato proprio Bettino a dirgli di togliersi le scarpe, per sentire meglio la natura, il respiro del vulcano, e pure la libertà. Quanta verità in quell’invito, e così se ne tornava verso casa, dopo il pranzo, attraversando scalzo quei terreni e presentandosi sorridente agli occhi del nonno, che di solito se ne stava seduto al contrario sulla sua sedia verde, ad aspettarlo quasi a cavalcioni, con le braccia sullo schienale, cappello e cravatta – mentre la mamma già sbraitava da lontano per il fango ovunque, i pantaloni che sembravano scoloriti e la cerata che non aveva retto con dignità. E quei piedi nudi.
«Mettiti le scarpe!”».
Quello era il primo ordine da eseguire, e magari lui avrebbe voluto raccontare a tutti di aver piantato fagioli, lattughe, carote e carciofi nel piccolo fazzoletto di orto, oppure di aver creato una ventina di conche attorno agli aranci del lembo più lontano, quello al confine col giardino di don Totò Mezzoculo.
Adesso ascolta “The rain song” dei Led Zep da un altro meridiano, sotto una pioggia calda che profuma la terra, intorno è una punteggiatura di schiene giovani, ricurve e colorate, tutte scalze in mezzo a solchinfiniti che pullulano di millepiedi arancio & di zecche rosse, di scorpioni e anche di coleotteri color melanzana. Qualche telefonino di fabbricazione cinese gracchia della musichetta pop africana con arrangiamenti arabescati, un paio di crocchi di ormoni sudati confabulano allegramente, in generale qualche sguardo segnala la presenza di quest’uomo bianco di mezza età, sotto il suo cappellino beige divenuto nocciola per l’acqua dal cielo, intento a scrutare quella parte dell’orizzonte dal quale sembra far capolino un occhio di sole.
E quest’uomo bianco di mezz’età non è mai voluto crescere del tutto, ha fatto andirivieni lungo i solchi piantando semi di granturco, la pioggia è solo natura che concede dono d’acqua a questa terra grassa, è vita intorno a radici nuove: e lui ha poggiato il suo recipiente oramai semivuoto ai piedi di un albero, e ha deciso di togliersi le scarpe. Il suo amico Adamu lo osserva da vicino e non sa se chiedergli di non farlo, una ragazzina minuta ha lo smalto scolorito sulle dita dei piedi spaccati, avrà già percorso chilometri avanti & indietro, nemmeno la pausa per bere un po’ o per riposare con le amiche sotto le fronde di una acacia. “Senza fretta, ma senza tregua”, scrisse Goethe, evidentemente la pensava come gli africani, e qui il vero ritmo è la lentezza.
Con questo tempo caldo umido, le piccole piogge non tarderanno a far sbucare i primi germogli lungo i filari disegnati con una corda lunga una ventina di metri. Questo sta pensando l’uomo di mezza età, prima di sorridere mettendo i suoi piedi nudi tra quei solchi. Davanti ai suoi silenti occhi felici, un fronte d’acqua piovana da ponente che presto si asciugherà al sole, ma non prima di aver benedetto la semina. E la stessa libertà infantile di quarant’anni fa, in cui il tenero germoglio da curare, il verde fuscello da piantare, l’innesto sottile, il tenue viluppo di radici, era proprio lui.
E lo sa bene che, prima o poi, da chissà dove, apparirà sempre qualcuno a urlargli:
«Mettiti le scarpe!»

Giuseppe Cusumano

Giuseppe Cusumano è nato nel 1968 in un paesino del Polesine che oggi non esiste più, da genitori etnei di Militello in Val di Catania. Vive a Ragusa da oltre 40 anni e scrive quasi da sempre, da mancino corretto: ama la musica, nuota e si diletta di fotografia, ha praticato calcio e arti marziali, si nutre di libri, di natura e di umanità.
Risulta curioso, poco ortodosso, distrattamente attento, dotato di ottima memoria - e anche per questo dicono soffra di ‘retrotopia’.
Di professione Malaùssene, da nove anni coordina un Progetto di volontariato (nato in Ambasciata e radicato presso la missione di Kitanewa) per la costruzione di scuole di ogni ordine e grado nella regione di Iringa, in Tanzania, e continua a farsi correggere i compiti dalla sua prof di lettere.
Ha pubblicato diversi racconti e articoli, un diario di viaggio africano (Quaderni tanzani, OperaIncerta Editore), un romanzo (La terza banca, La Zisa Ed., recensito su Repubblica), e incredibilmente una raccolta di poesie (Minimalia, Libro Italiano World Ed.).
Saltuariamente ha scritto su un blog, ma non è cosa sua.
In compenso, a breve pubblicherà il suo nuovo romanzo, ambientato in Africa, dal titolo Agli elefanti invece sì, editore cercasi.

Contatti

Via De Gasperi, 20
97100 Ragusa

info@operaincerta.it

+39 3482941990

I nostri link

© Operaincerta. All Rights Reserved. Designed by HTML Codex