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Hic incipit vita nova. In novo anno!

Daniela Ferrera 14 gennaio 2024


E, così, tra una guerra e l’altra siamo arrivati a un altro cambio di calendario, all’ennesimo Gennaio che, come ogni anno e per (quasi) tutti gli individui, è il mese dei nuovi slanci e dei buoni propositi. Il momento ideale per apportare dei cambiamenti alla nostra vita e a noi stessi, per fare un bilancio di quello che abbiamo realizzato e di ciò che abbiamo lasciato in sospeso, per avere più che altro l’illusione di poter controllare il tempo. Qualunque siano i pensieri con cui ci si ritrova catapultati in questo mese carico di aspettative, essi hanno sempre a che fare con lo scorrere del tempo, in un’alternanza continua tra passato, presente e futuro: c’è chi non vede l’ora di voltare pagina e buttarsi alle spalle l’anno vecchio e chi, invece, approfitta del Capodanno per guardare con entusiasmo alle opportunità che il nuovo può avere in serbo, vivendo quel momento come una catarsi, una trasformazione che prepara l’inizio di un periodo finalmente diverso (si spera).
Diventiamo tutti abili ad analizzare i nostri trascorsi, le azioni che abbiamo compiuto, i risultati ottenuti e quelli che invece non siamo riusciti a raggiungere. E ci ritroviamo, immancabilmente, a sognare di cambiare. Ci vorremmo più forti e determinati, più propositivi o meno pessimisti, più energici ed entusiasti, salvo renderci conto poi, a Febbraio, di essere già abbastanza provati, rassegnati e disillusi.
Perché stabilire buoni propositi per il nuovo anno è un’attività ‘pesante’, che richiede tempo per l'analisi personale, ma anche motivazione e perseveranza, nonostante nell’era dei Social abbondino i suggerimenti da tastiera per rendere più semplice tale compito. Come l’invito a seguire alcune regole che dovremmo adottare per far sì che i nostri propositi si rivelino realmente efficaci. Ovvero:
1) concentrarci sulle cose che vogliamo fare e non su quelle che "dovremmo" fare, perché i “dovrei” di solito non motivano; 2) impostare propositi realistici e realizzabili nel tempo, per evitare di sentirci sotto pressione mentre proviamo a raggiungere a tutti i costi traguardi troppo ambiziosi; 3) pensare alle principali priorità della nostra vita e ad associare ad esse i nostri propositi; 4) definire obiettivi concreti e pianificare il modo per raggiungerli, a partire da piccoli cambiamenti nella nostra vita di tutti i giorni. Perché i buoni propositi servono a creare abitudini migliori, ma le abitudini si creano attraverso l’impegno nelle attività e negli atteggiamenti quotidiani; 5) non ricercare a tutti i costi la perfezione o l’approvazione degli altri. Stilare, sì, buoni propositi capaci di stimolarci ma senza dimenticare di essere gentili con sé stessi se non si riesce subito a raggiungere i risultati desiderati; 6) lasciarsi alle spalle pesi e zavorre emotive che non sono salutari e accrescono solo un profondo senso di confusione e frustrazione.
L'inizio di un nuovo anno è l'occasione perfetta per ricominciare da zero ma, regole o raccomandazioni varie a parte, è l'idea stessa del cambiamento che può spaventarci a tal punto da farci preferire di rimanere attaccati alle nostre vecchie abitudini perché più rassicuranti o perché più rassicurante il fatto di potersene poi lamentare.
Quante volte, ad ogni turn over d’anno, abbiamo detto consapevolmente “sì” al cambiamento?
E’ una domanda senza tempo, tanto che se l’era posta, a suo tempo, perfino Nietzche, il quale per il Capodanno del 1882, così scrisse: “oggi ognuno si permette di esprimere il suo augurio e il suo più caro pensiero: ebbene, voglio dire anch'io che cosa oggi mi sono augurato da me stesso e quale pensiero quest'anno, per la prima volta, m'è venuto in cuore - quale pensiero deve essere per me fondamento, garanzia, dolcezza di tutta la vita futura! Voglio imparare sempre di più a vedere il necessario nelle cose come fosse quel che v'è di bello in loro: cosi sarò uno di quelli che rendono belle le cose. Amor fati: sia questo d'ora innanzi il mio amore! Non voglio muover guerra contro il brutto. Non voglio accusare, non voglio neppure accusare gli accusatori. Guardare altrove sia la mia unica negazione! E, insomma: quando che sia, voglio soltanto essere, d'ora in poi, uno che dice SI’!”
“Dire di sì” come proposito principe, dunque. Ieri come oggi.
Liberarsi dai pesi che opprimono il nostro spirito, dimenticare gli atteggiamenti sbagliati e conservare quelli giusti, sfruttare ciò che di buono si è costruito nel passato, senza però dipenderne perché lo scopo deve essere quello di andare avanti: questi gli auspici che il grande filosofo tedesco rivolgeva a sé stesso e che oggi appaiono più che mai attuali.
La lezione degli antichi può tornarci utile come augurio per il nuovo anno. Anche se per dirla con Franco Arminio (sublime poeta, anzi, “paesologo” contemporaneo) e il suo “Manifesto per il nuovo anno”‘, ‘sono moltissimi anni che nel mondo non arriva un anno nuovo’.
Già. A pensarci bene, come dargli torto quando scrive che’ l’anno nuovo sarebbe tale se fossimo in grado di fare un felice funerale al (nostro) mondo, simbolicamente morto’. Il mondo, almeno quello occidentale, è perennemente in agonia perché vittima di una forma di autismo corale che corrode i rapporti umani anche quando sembra alimentarli e per questo, a suo dire, ci sarebbe bisogno di una cerimonia ben più solenne del rituale scambio di auguri del Capodanno e di una lunga veglia collettiva, più che di un veglione.
Siamo arrivati ormai alla frutta in tutti gli ambiti, specie in quello più specificatamente “umano”. Non abbiamo niente da dirci, non crediamo più agli altri e neppure a noi stessi, eppure brindiamo, speriamo, progettiamo, insieme, gli uni con e per gli altri. E soffriamo. Sì, perché ci manca la ‘poesia’. Da contrapporre alla politica che governa le nostre vite e rende questa società sempre più anaffettiva. Franco Arminio ce lo ricorda ogni giorno, con i suoi versi: ‘un anno nuovo sarebbe veramente tale se portasse la politica alla poesia e non la poesia alla politica. Perché abbiamo bisogno di contadini, di poeti, di gente che sa fare il pane, di gente che ama gli alberi e riconosce il vento. Più che l’anno della crescita, ci vorrebbe l’anno dell’attenzione. Attenzione a chi cade, attenzione al sole che nasce e che muore, attenzione ai ragazzi che crescono, attenzione anche a un semplice lampione, a un muro scrostato, a una qualunque macchina che passa per strada.’
Sue, ancora, le bellissime ‘Divagazioni’ sull’argomento: ‘il mondo ha bisogno di essere amato e accudito, prima di essere pianificato o portato chissà dove. Dobbiamo accordarci dopo aver creato i conflitti, dopo aver compreso che il mondo non è solo nostro e che quello che facciamo pensando solo a noi stessi è una forma di suicidio.’
Più facile a dirsi che a farsi, è vero. Homo homini lupus sempre è stato e sempre sarà, nonostante i buoni propositi di ogni anno che passa. I “Caino” e gli “Abele” contemporanei, festeggiano il 31 dicembre, promettono il 1 gennaio e non mantengono per i restanti 364 giorni. Così, ab aeterno.
Ma ci vuole poi veramente tanto per comprendere che l’anno nuovo è veramente tale se mettiamo in atto un nuovo modo di sentire e percepire? In fondo, Arminio non parla di oroscopi ma profetizza il presente quotidiano quando sostiene che: ‘c’è una grande confusione non solo nel campo della politica, ma anche nell’universo sentimentale. Che le donne uccise sono solo la punta di un malessere molto profondo che avvolge il nostro dare e avere nei rapporti con gli altri. Che bisogna ristabilire un equilibrio nella dialettica tra egoismo e altruismo, tra cura di sé e cura dell’altro. Che solo il terribile pare in grado di svegliare la nostra agitata sonnolenza e le nostre nevrosi troppo spesso sono l’unica maniera con cui riusciamo a raggiungere e a essere raggiunti dagli altri.
Come reagire a tutto questo, viene da chiedersi. Cosa attuare, per rimediare? Lui non ha soluzioni facili da offrire, solo riflessioni audaci da mettere in pratica, con la gioia come sottofondo e orizzonte temporale. Ci invita a ‘cominciare l’anno nuovo con piccoli esercizi di ammirazione, di riabilitazione alla gioia. A istituire una sorta di capodanno tra un giorno e l’altro, tra un’ora e l’altra.’
Sembra un’idea grandiosa. Noi lo ignoriamo o facciamo finta di non ricordarlo ma ‘oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere, significa rallentare più che accelerare, significa dare valore al silenzio, al buio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza.’
Più che di competitività abbiamo sicuramente bisogno di regole semplici, di accordi morali. Di felicità, appunto. Che è un sentimento osannato e ricercato in tutte le epoche, dai grandi miti antichi come Platone, per il quale la felicità era il termine ultimo dell’esistenza, ai filosofi più moderni come Pascal, secondo cui non esistevano uomini o donne al mondo che non volessero essere felici, finanche le persone più depresse.
E, soprattutto oggi, seppure preferiamo volare basso e chiamarla “serenità”, la felicità è davvero il senso della vita. Non certamente la felicità effimera di un pandoro Balocco griffato ma quella che può essere realizzata, da soli o insieme agli altri, facendo vibrare le innumerevoli disarmonie di cui abbonda il nostro mondo malato, a partire dalle guerre tutte, alle crisi individuali, sociali, politiche, ed economiche.  Armonizzare i nostri dolori, i grandi disastri, le nostre lacerazioni di vita. Ognuno per come può. Perché siamo chiamati a rendere bella la nostra esistenza, nonostante tutto. Questo, ovviamente, richiede impegno. Bisogna impegnarsi per essere felici. Perché, sempre per citare Franco Arminio (che adoro!), ‘la gioia non è un risultato, un fatto, una cosa, un luogo.’ È un patto con sé stessi, è decidere di farne la strada della propria vita. Perché a saperla vivere, “è’ una fioritura nella carne, è il maggio delle ossa, l’aprile degli occhi.”
È il faro che illumina il buio delle nostre esistenze, un traguardo universale, l’obiettivo a cui tutta l’umanità martoriata attuale deve poter tendere, nessuno escluso, perché il mondo non può e non deve essere trasformato in un’avvincente ma sterile partita di Risiko con le nostre vite come giocatori.
Diceva Zygmunt Bauman: “Nel dare forma alla nostra vita, siamo la stecca da biliardo, il giocatore o la palla? Siamo noi a giocare o è con noi che si gioca?”. Non può esserci felicità fin quando consentiremo a esseri umani ignobili di trattarci come palle con cui giocare, da armeggiare a piacimento.
È quello che succede nelle guerre dove, inevitabilmente, c’è la “palla” chiamata popolazione e ci sono i “giocatori” chiamati ‘potenti’ che giocano scorrettamente, pretendendo tutti la vittoria per i loro scopi, spesso mascherati da interesse nazionale. Violenza, morte, orrore. Vite spezzate, famiglie distrutte.
Come dice il Presidente della Repubblica, Mattarella, “la guerra non nasce da sola. Non basterebbe neppure la spinta di tante armi, che ne sono lo strumento di morte. La guerra nasce da quel che c’è nell’animo degli uomini. Dalla mentalità che si coltiva. Dagli atteggiamenti di violenza, di sopraffazione, che si manifestano. Per questo è indispensabile fare spazio alla cultura della pace. Che non significa essere buonisti quanto, piuttosto, sentire il dovere di respingere quei dettami che inneggiano a una competizione permanente tra gli Stati. Occorre, quindi, educare alla pace per essere felici. Alimentarne la cultura nel cuore e nella mente delle nuove generazioni. Nei gesti della vita di ogni giorno. Nel linguaggio che si adopera. Così come nel rispetto dovuto all’altro in ogni ambito: personale, sociale, politico. Perché l’amore per i nostri simili non è mai sopraffazione, violenza, odio, egoismo; è dono gratuito, sensibilità e libertà. Libertà che ognuno, dal canto suo, è chiamato a garantire, per costruire, a partire dal brindisi di ogni vigilia di anno nuovo, un futuro più dignitoso e vivibile del presente.
Il tempo fugge alla velocità di un tweet e i propositi raddoppiano ad ogni primo dell’anno, soprattutto i miei. Non importa se, come sostiene Rodari, anche quest’anno avrà di certo quattro stagioni e il giorno dopo il lunedì sarà sempre un martedì, perché, alla fine, anche quest’anno il nuovo anno sarà come gli uomini lo faranno.
E per questo, all’ultimo brindisi del vecchio, ho augurato ‘Buon (H)anno’.
Con la speranza che alla fine di questo 2024 si possa dire che l’Hanno fatto proprio bello, e gioire (tutti) perché……. “Hanno raggiunto finalmente la pace”, “Hanno smesso di uccidere le donne”, Hanno trovato una soluzione al problema della crisi climatica, “hanno” debellato la povertà.
Hic incipit vita nova. In novo anno, dunque!

Daniela Ferrera

Daniela Ferrara nasce nel 1968 a Ragusa dove attualmente vive e lavora.
Sue grandi passioni, il giornalismo e la traduzione. Laureata in Lingue e Letterature Straniere Moderne, annovera tra le sue esperienze formative nel campo linguistico il lavoro di traduzione di importanti documenti del patrimonio storico della Regione Siciliana, disponibile presso il Ministero dei Beni Culturali, la traduzione di un saggio italo-americano e di articoli per alcuni portali, tra cui East Journal, quotidiano on- line di attualità politica europea. Ex Giornalista pubblicista, ha collaborato per anni come componente di redazione con varie testate locali e alcune riviste on line, come “Le Fate”, periodico di Arte, Cultura e Identità siciliana. Abilitata nel 2005 alla professione di guida turistica, esercita negli anni, in questo ambito, attività di assistenza a giornalisti, registi e scrittori, per studio, ricerche o individuazione di locations cinematografiche nella Provincia di Ragusa. Collabora, nel 2010, con il giornalista Rai e scrittore Roberto Alajmo per la stesura del libro: L’Arte di Annacarsi.

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