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La controversia di un sorriso

Roman Henry Clarke 14 dicembre 2023


Una band, i Nirvana. Di aggettivi se ne sono sprecati fin troppi in oltre tre decenni. Si presentano da soli.
Anche perché qui non si parla della band. Bensì, del suo logo.
Darsi un'identità grafica è tipico di una rock band. Si pensi ai loghi di Rolling Stones, Van Halen, Aerosmith. Spesso, più che un logo grafico è il nome della band con un particolare typeface. Gli esempi si sprecano: Beatles, Doors, Metallica, Led Zeppelin. Questi ultimi, al typeface della band, affiancarono quattro criptici simboli, uno per membro.
Alcune band facevano entrambe le cose. E fu che, a fianco della scritta NIRVANA con il suo riconoscibile font graziato, apparve sul merchandise un sorriso, “smiley”.
Stralunato, occhi ridotti a crocette, la lingua di fuori. Esemplificazione di una filosofia di vita, che spesso ha portato molti musicisti alla morte. Compreso - al netto di teorie alternative - lo stesso Kurt Cobain.
Ecco, ufficialmente quel disegnino lo ha fatto lui. Molto probabilmente lo ha fatto veramente lui, ispirandosi all'insegna di uno strip club.
O forse no.
Nel 2022 Robert Fisher, il grafico della Geffen Records, l'etichetta che prese nel proprio roster la band di Seattle dopo l'esordio di Bleach pubblicato dalla Sub Pop, ne ha rivendicato la paternità. "Solo" tre decenni dopo.
Rivendicazione rispedita al mittente dal management che cura gli interessi della band, orfana sin dal 1994 del suo fondatore ma che continua a macinare milioni di dollari in diritti e ripubblicazioni: si pensi alle edizioni celebrative del trentennale di Nevermind del 2021 e di In Utero di quest'anno.
Quella faccina stralunata, disegnata (dice la storia, e noi non siamo nessuno per non credervi) da Kurt nel 1991, venne registrata come marchio nel 1993.
Il resto è storia.
Storia di una querelle giudiziaria. No, non con Fisher, lui è arrivato da poco: ricordiamoci anche l'ex bambino della cover di Nevermind, le cui rivendicazioni in merito alla liceità d'uso della sua immagine sono state rintuzzate.
Ma, soprattutto, Marc Jacobs. Il famoso stilista. Nel 2018, Jacobs dà vita ad una linea di abbigliamento, la Redux Grunge Collection. Si prende il termine "grunge", e passi: non appartiene a nessuno, è di tutti.
Ma usa la faccina. Quella faccina. Cambia solo gli occhi, sostituiti con le sue iniziali: M e J.
Ed è guerra, nei tribunali. Che ancora dura, complice la pandemia.
Come finirà? Ai posteri l'ardua sentenza. Di certo, l'autore non è Marc Jacobs. È Fisher, autore di tante grafiche dei Nirvana? Beh, bradipici i suoi tempi di reazione.
Di sicuro, quello stemma iconico (abbiamo cercato, come nostro uso, di far ricorso a termini abusati, ma ci stava) non è mai apparso su un album dei Nirvana. Solo su un volantino pubblicitario nel 1991, e dopo sulla prima, famosa, maglietta, quella della Onyx con la scritta "Flower Sniffin, Kitty Pettin, Baby Kissin Corporate Rock Whores" sul retro.
Ovviamente, molto merchandise (compresa forse la vostra t-shirt di quegli anni) era pirata. Ma non era prodotto da uno stilista famoso ed è passato “in cavalleria”.
Noi, per non sbagliarci, non useremo la grafica originale a corredo di questo articolo. Giusto una vagamente simile, tanto per non farci mancare il sorriso.

Roman Henry Clarke

Roman Henry Clarke è nato in Sicilia, allungando l’oceanica lista dei britannici nati fuori dai confini dell’allora Impero. Ha vissuto un po’ ovunque in Europa. Ha studiato molte cose in autonomia, ma all’università ha scelto le scienze sociali, laureandosi in Scienze Politiche. Giornalista per deformazione, fotografo per vocazione, consulente universitario per serendipità. Cristiano metodista, anarchico, libertario, è papà single di Stevie, che è in cima al suo mondo, senza in questo fare a pugni con le proprie passioni e convinzioni.

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