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«Il tuo sorriso», fiore azzurro, rosa della mia patria sonora

Petula Brafa 14 dicembre 2023


«Mi ha detto che il mio sorriso si espande come una farfalla sul mio volto». Così Beatriz Gonzàlez risponde alla madre, carceriera della sua virtù e decisa ad allontanarla prima di subito dalle metafore di Mario Jiménez, il postino di Neruda, protagonista del romanzo di Antonio Skàrmeta e del film di Michael Radford, con Massimo Troisi e Philippe Noiret. Sulle differenze fra il libro e la sceneggiatura liberamente ispirata, complici il successo decretato dal pubblico e dai riconoscimenti internazionali, non ci sono più segreti: al posto di Isla Negra, sulla costa settentrionale cilena - sede di una delle case museo, insieme a La Chascona a Santiago del Cile e a La Sebastiana a Valparaiso, gestite dalla Fondazione Pablo Neruda – il film sceglie l'ambientazione in Italia, e diverse sono la finestra temporale sulla vita del poeta e la declinazione drammatica nel finale. A legare le due opere - oltre il destino del personaggio e dell’attore, scomparsi prematuramente - permangono invece la fonte sorgiva terrena, fisica, sensuale della poesia nerudiana e la riflessione sull’espressività, rimessa al corpo e al volto dell’amata, che nella lirica “Il tuo sorriso” assume la forza prepotente di un simbolo di più vasta lettura.
La filologia più improvvisata del sorriso corre subito alla retrospettiva nell'arte: scomparso il volto placido dei kouroi della scultura greca arcaica, seguiranno l’armonia ellenistica e l’austerità romana, la morigeratezza medievale permeata di religiosità, la dimensione ideale senza tempo della pittura del Cinquecento e la solennità della ritrattistica di potere, in cui la serietà del viso doveva avvalorare lo status sociale, deprecando la risata dei buffoni e dei popolani, ma anche superando la trascuratezza delle cure dentali e la costrizione a lunghi tempi di posa. Bisognerà attendere il Settecento per rivedere in pittura volti animati dall’espressività, al netto di casi artistici variamente discussi dalla critica, quali il Ritratto d’uomo di Antonello da Messina (1465), la Gioconda di Leonardo (1503), il San Giovanni Battista o Giovane con un montone di Caravaggio (1602) e molti altri. La raffigurazione delle emozioni umane, anche attraverso il sorriso, ricorrerà finalmente nella stagione ottocentesca e romantica, anche se l'aspetto rigoroso per la lunga esposizione alla posa si ripeterà nell'elaborazione del dagherrotipo, antenato della fotografia e dei selfie. 
Un discorsetto sulla felicità, sospesa tra essere e avere - cosa? un congruo conto in banca, ad esempio -  potrebbe chiudere l'indagine sul simbolo, con buona pace dei maestri del pensiero; ma siamo scienza, non fantascienza, e su cause ed effetti del sorriso per fortuna le scoperte neurologiche e le interpretazioni psicanalitiche sovrastano l'ambizione degli imbonitori da falsi oroscopi e l’audacia dei test della personalità, sulle riviste compagne di viaggio in treno o di ozio sotto l’ombrellone. La reazione sociale - il me-lo-dice-la-pancia - però esiste eccome. Uno studio scientifico dello scorso gennaio, presentato alla 17^ Conferenza Internazionale sul Riconoscimento automatico di Volti e Gesti 2023 e riconosciuto dall'IEEE - Institute of Electrical and Electronic Engineers(USA), ha evidenziato la preferenza per i volti sorridenti, in quanto più affidabili e amichevoli nelle interazioni quotidiane; e la diversa percezione del sorriso – più vivace ed eccitato nelle popolazioni occidentali, più contenuto e mite nelle orientali - da una cultura all’altra. Tale tema era già stato oggetto di uno studio pubblicato nel 2015 dalla rivista scientifica PNAS Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, condotto in nove Paesi (Canada, Francia, Germania, India, Indonesia, Israele, Giappone, Nuova Zelanda e Stati Uniti), a proposito di funzione e varietà del sorriso. Ne era risultato che l’eterogeneità storica di una popolazione - per componenti migratorie e influenze culturali - incide sulla percezione di un volto sorridente, con benefici per la comunità. Nella dinamica relazionale, al sorriso infatti si attribuiscono le funzioni di piacere (fornire ricompense a sé e agli altri), affiliazione (creare e mantenere legami sociali), dominanza (negoziare status nelle gerarchie sociali), che nelle popolazioni di origine culturale eterogenea creano fiducia sociale. Lo sa bene il linguaggio pubblicitario, dallo smiley di Harvey Ball (1963), promotore dell’istituzione della Giornata del Sorriso, al logo scelto da Jeff Bezos per la fondazione di Amazon (1994): per presentare l'offerta di prodotti in vendita al pubblico planetario, una furba freccia curvilinea unisce la A e la Z del nome dell’azienda, disegnando un sorriso. Per gli annali dell'E-commerce e per la filologia degli angoli delle labbra all'insù, la nascita della regina tra le internet company si colloca in luglio, proprio tra la scomparsa di Troisi in giugno e l’uscita del suo film testamento, nel settembre 1994.
Le cronache raccontano che l'attore pensò di trarre un film dal romanzo, riconducendo l'ambientazione storica dagli anni cileni 1969-73 al soggiorno di Pablo Neruda a Capri nel 1952. Per sfuggire all'arresto, dopo il discorso al Senato contro il governo autoritario del presidente Gabriel Gonzalez Videla, l'ordine di scioglimento del Partito Comunista e la decadenza da senatore, il poeta si era rifugiato prima in Messico - e innamorato di Matilde Urrutia, terza moglie, che gli sarebbe stata accanto fino alla fine - poi in Europa. Nel gennaio 1952, su pressione del governo cileno, fu raggiunto dal decreto di espulsione a Napoli e partì per lasciare l'Italia. Giunto in treno a Roma, Edwin Cerio, un ingegnere anglo-italiano che aveva conosciuto in Sud America, ex sindaco di Capri, lo invitò sull'isola, mettendogli a disposizione una residenza di proprietà. Nei mesi a Capri, Neruda proseguì la stesura delle liriche ispirate all'amore per Matilde, al suo fianco, e intrise del fuoco della propria esistenza: sono I versi del Capitano, in omaggio nel titolo a Walt Whitman, quarantasette poesie edite per la prima volta a Napoli, introdotte dalla lettera di una donna che le attribuisce all'amante. Per non ferire la moglie ancora in Cile, il poeta aveva scelto l'anonimato. A finanziare la pubblicazione della raccolta, in quarantaquattro copie pari al numero dei sottoscrittori, furono lo stesso Neruda, Matile Urrutia, intellettuali italiani e stranieri, e politici: tra essi, Elsa Morante, Carlo Levi, Renato Guttuso, Mario Alicata, Vasco Pratolini, Salvatore Quasimodo, Giulio Einaudi, Jorge Amado, Nazim Hikmet, Luchino Visconti, Renato Caccioppoli, Palmiro Togliatti, Pietro Ingrao, Mario Montagnana e Giorgio Napolitano, che in un'intervista del 2016 dichiarerà: «Nemmeno si è posto il problema di quale fosse la natura di queste espressioni poetiche, se poesie politiche o poesie d’amore. Contava il personaggio, contava la sua battaglia, la sua personalità».
Eppure nell'invito del poeta all'amata a non privarlo mai del suo sorriso - anche «nell'ora più oscura», «se vedi che il mio sangue macchia le pietre della strada» - a farne in autunno una «cascata di spuma» in mare, e in primavera il più atteso «fiore azzurro, la rosa della mia patria sonora», trapelano l'esperienza dell'esilio e la lettura politica del simbolo. Se dalla lirica stilnovista del Trecento discende nei secoli la figura del sorriso nel linguaggio amoroso, comune alla produzione lirica non solo italiana, il prestito alla poesia dell'esilio ricorre nei versi dedicati da Ugo Foscolo all'isola di Zacinto (1803), terra fertile per il sorriso di Venere; e soprattutto in quelli di Nazim Hikmet nelle Lettere dal carcere a Munevver(1945), con la transigurazione dell'amore per la sua donna nella città da cui è esiliato: «Come sei bella, Dio mio, come sei bella/l'aria e l'acqua d'Istanbul nel tuo sorriso». E quel fiore azzurro, già metafora del sorriso, parlerà ancora a Neruda più avanti, riproponendosi come «un piccolo stendardo/di fuoco azzurro, di pace irresistibile,/d'indomita purezza» (Ode al fiore azzurro, 1954): per l'uomo, una bandiera per l'assoluto.
Nella simbologia delineata - e nella similitudine storica tra Pablo Neruda e Antonio Skarmeta, trent'anni dopo l'edizione napoletana de I versi del Capitano - si inscriverebbe anche l'ispirazione del romanzo. «Il Postino nasce al tempo della dittatura di Pinochet, (...) come un emozionato ricordo dal mio esilio a Berlino Ovest del Cile democratico che avevo vissuto e goduto finché non venne il golpe» - raccontava lo scrittore in un'intervista nel 2019 - «Credo che nel mio cuore pulsasse il bisogno di recuperare nella finzione letteraria il modesto e imperfetto paradiso che avevo perduto: quel Cile in cui il poeta era vicino alla gente e la gente sentiva che il poeta parlava per loro. Un Cile in cui si poteva discutere di democrazia con gioia e immaginazione senza sospettare che all'improvviso molti avrebbero dovuto pagare con la vita questa affettuosa attività». E a confermare la comune traccia sottesa è il titolo originale dell'opera, Ardiente Paciencia, nell'interpretazione delle parole di Arthur Rimbaud «À l'aurore, armés d'une ardente patience, nous entrerons aux splendides Villes» (Una stagione all'inferno, 1873), citate da Neruda a Stoccolma nel 1971, nel discorso d'accettazione del Premio Nobel per la Letteratura.  «Io credo in questa profezia di Rimbaud, il veggente. Io vengo da un'oscura provincia, da un paese separato da tutti gli altri da una netta geografia. Sono stato il più abbandonato dei poeti e la mia poesia fu regionale, dolorosa e piovosa. Ma ebbi sempre fiducia nell'uomo. Non persi mai la speranza. Per questo, forse, sono giunto fin qui con la mia poesia, e anche con la mia bandiera. In conclusione devo dire agli uomini di buona volontà, ai lavoratori, ai poeti, che l'intero avvenire fu espresso in quella frase di Rimbaud: solo con un'ardente pazienza conquisteremo la splendida città che darà luce, giustizia e dignità a tutti gli uomini. Così la poesia non avrà cantato invano».

Petula Brafa

Leone di agosto, gattopardo caudato come l'ultimo Buendia, pubblicista. Vivo, leggo, scrivo e faccio cose a Roma.

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