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L'almanacco più bello, il più bello dei mari

Petula Brafa 14 gennaio 2024


Se il nuovo anno fosse un calendario da acquistare, scartare e sfogliare verso la felicità, chi non sceglierebbe il più bello? Del resto, chi esprime un desiderio sogna che si realizzi, a bordo di una stella cadente nel cielo d’agosto o, in pieno inverno, esaudito dalla lotteria. Eppure a mettere ordine tra sogni e desideri degli italiani, con buona pace della prova canora della Cenerentola disneyana, della smorfia napoletana e delle profezie iperboliche di Lucio Dalla in  L’anno che verrà (1978), non sono i numeri del gioco ma le cifre della statistica.
Della wish list per il 2024 si è occupato il sondaggio svolto in dicembre dall’Istituto di ricerca SWG, raccogliendo intenzioni variegate su empatia e crescita personale dei partecipanti. Gli intervistati hanno dichiarato di aspirare a stare con le persone cui vogliono bene (50%), vedere posti nuovi (39%), riposare e rilassarsi (32%), seguire i propri progetti (30%), avere cura di sé e del proprio aspetto (24%), divertirsi (23%), leggere, ascoltare musica, guardare film, telefilm e spettacoli televisivi (21%), studiare e aggiornarsi (18%), guadagnare (18%), informarsi (16%). Per tutto il resto, è sfida aperta tra la carta di credito più pubblicizzata e le lettere a Babbo Natale. «Se non ti dispiace, quest'anno scrivo alla Madonna di Lourdes, con la speranza che almeno lei possa darmi una mano. Senza rancore, baci stellari G.H.», «Puoi impacchettarmi Harry Styles e farmelo trovare sotto l'albero? Alessia», «Facci laureare entro i 30 anni. D. e N.», «Non togliermi nulla», «Non ho ancora deciso se chiederti il 2005 o il 1993«, «Fai vincere lo scudetto alla Salernitana», «Regalaci il posto fisso, Miriana e Mariangela» scrivevano i viaggiatori in transito nei giorni scorsi per la stazione ferroviaria di Roma Termini, vergando rigorosamente a mano hic et nunc scontrini, ritagli di giornale, pagine di quaderno, biglietti obliterati, tovaglioli da caffè, e addobbandone il maestoso albero di Natale all’ingresso, secondo un protocollo di ironia e disincanto, condiviso da un certo scetticismo letterario.
Di quei passanti sornioni, infatti, è illustre collega ottocentesco il personaggio del Dialogo tra un venditore di almanacchi e un passeggere (1832), nelle Operette Morali di Giacomo Leopardi (1798-1837), di cui è noto il manifesto della nullità del piacere e della ciclicità dell'esistenza. L'invito all'acquisto dell'almanacco del nuovo anno offre al passeggero il pretesto per divagare sul futuro e dimostrare che la promessa di felicità è solo fragile apparenza. La sua chiaroveggenza di certezze distaccate e argomentazioni logiche ha facile presa sull'estrazione popolare del venditore, tanto da fargli dichiarare che non rivivrebbe la propria vita, con le avversità conosciute, ma ne accetterebbe una «senza patti», inaspettata e insperata, «come Dio gliela mandasse». Se il piacere è un'illusione sospesa tra i ricordi del passato - che non può essere rivissuto nella sua interezza per il male sofferto - e il futuro ancora ignoto, non resta che sperare nel domani. «Mostratemi l'almanacco più bello» - chiede il passeggero, quasi possa coincidere con l'anno migliore da scegliere di vivere, per trenta soldi.
Gli astemi della poesia e i fedelissimi del pensiero positivo saranno sorpresi di scoprire il contributo di Ermanno Olmi (1937-2018) nel destituire certi pregiudizi scolastici sul poeta di Recanati, sceneggiando il Dialogo in un cortometraggio, di cui nel 2024 ricorre il 70°anniversario dall'edizione. Per il regista, che realizzava documentari per la Sezione Cinema di Edison S.p.A., l'occasione è nel 1954 il collaudo di una nuova macchina da presa, la Eclair 330, mentre l'ambientazione viene dalla società lombarda, nel passaggio dalla civiltà contadina all'urbanizzazione industriale, tra le vetrine natalizie a Milano. «Scelgo Leopardi perché l’autorevolezza dell’autore giustificava il provino di una macchina così importante» - spiegava Olmi in I volti e le mani (Feltrinelli 2008, a cura di Benedetta Tobagi) - «Poi mi interessava l’intreccio di varie nozioni di tempo: quello del calendario, il tempo del pensiero, delle aspirazioni del futuro». La teoria del piacere leopardiana dunque è sviluppata attraverso la chiave semantica del tempo e delle immagini, trovando l'ultima soluzione nella copertina dell' «almanacco più bello», consegnato dal venditore al passeggero. A rendere iconico il fotogramma è il ritratto di un vascello in mare aperto, di cui si intravede la poppa sospinta dal vento e la prossimità agli acquerelli della Royal Navy, in particolare della HMS Victory, la nave di Sua Maestà sotto il comando dell'Ammiraglio Horatio Nelson, eroico vincitore di Trafalgar (1805). Quale che sia stata l'ispirazione di Olmi, l'immagine lascia lo spettatore ad almanaccare sul tema del viaggio tra marosi avversi o verso il futuro sperato, perché «il più bello dei mari è quello che non navigammo» (Nazim Hikmet, Il più bello dei mari, 1942).
Il rapporto tra tempo e mare riappare anche nella Lettera di Capodanno, nel romanzo Tommaso e il fotografo cieco (Bompiani, 1996) di Gesualdo Bufalino (1920-1996). Il protagonista, un giornalista aspirante scrittore, abbandona famiglia, lavoro e amici, rinchiudendosi nel seminterrato di un condominio di città, dove inganna il tempo - quando non è interrotto da vicissitudini in capo ai personaggi - tra l'invenzione di palindromi, la risoluzione di puzzle a schema libero e la traduzione dal francese (Paul Valery, Cimitero marino, 1920), «accanito per ore sulle varianti d'un solo verso, senza decidermi di escluderne una sola: Mare che ognora sei uno e diverso / Mare, che non ti sazi di rinascere / O tu che sempre rinnovelli, mare / Mare, che ad ora ad ora ricominci / Tu che rinasci ad ogni istante, mare / O mare, infaticabilmente nuovo / Mare che in ogni flutto ti rinvergini / Mare, perpetuo moto, eterno inizio / Mare, principio eterno, eterna fine / Mare, incessante, pullulante palpito / La mer, la mer, toujours recommencée, che è l'ironico uovo di Colombo con cui concludo di solito, lasciando il verso perfetto com'è». A poche pagine dall'epilogo, l'autore gioca con la letteratura invocando nei versi per il Capodanno il medesimo enigma di traduzione sul tempo - «le temps, le temps toujours recommencé»  -  il dubbio che il nuovo anno sia peggiore degli altri e infine «un fervorino di bugiarde speranze», erede della lettura leopardiana: «verrà sotto i balconi / un cieco venditore d'almanacchi / a persuaderci di vivere.../ Crediamogli un'ultima volta». E in questa sciarada scettica di verità assolute, l'eco del mare è anche l'eco del tempo sulla vita dell'uomo, nel contrasto tra il flusso dei giorni e la permanente certezza per cui «malgrado siamo / le gocce del fiume di Eraclito / perduri qualcosa in noi / immobile» (Jorge Luis Borges, Fine d'anno, 1923); e l'ineludibile ritorno alla tentazione del passato, senza redenzione: «Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato» (Francis Scott Fitzgerald, Il grande Gatsby, 1925).
Una ironica e divertente interpretazione del tempo in agguato si legge infine nel romanzo Non buttiamoci giù (Guanda, 2005) di Nick Hornby (1957), quasi un esperimento sociale sull'assenza di aspettative dei quattro personaggi che, per motivi diversi, vogliono farla finita buttandosi giù da un palazzo, la notte di Capodanno. L'ascolto delle rispettive storie, raccontate nell'alternanza di monologhi, riuscirà a distoglierli dal gesto estremo e li unirà in un gruppo di sostegno reciproco, scadenzando i successivi incontri sul tetto, per condividere i progressi di ciascuno. Non c'è soluzione all'ansia, agli errori commessi, ai drammi umani, si può solo provare a frammentare il percorso dell'esistenza in piccoli traguardi raggiungibili e, attraverso la condivisione e la solidarietà, a governare il movimento del tempo e la sua influenza sull'uomo. Di quel moto terrestre, nell'epilogo, la giostra illuminata nella notte, in lontananza, è l'interrogativa riproduzione in scala, tra percezioni opposte: «Siamo rimasti a guardare per un pezzo, cercando di decidere. Martin aveva ragione. Non sembrava che si stesse muovendo; ma si doveva muovere, secondo me».

Petula Brafa

Leone di agosto, gattopardo caudato come l'ultimo Buendia, pubblicista. Vivo, leggo, scrivo e faccio cose a Roma.

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