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Lo specchio col delay

Guglielmo Tasca 14 ottobre 2023


Mio figlio si chiama Giovanni, da prassi. In verità non è stata la prima scelta; abbiamo cercato altri nomi, ma nessuno ci convinceva. Non rimaneva che quella scelta e, contenti, lo abbiamo comunicato al nonno. Il nonno non sembrava proprio entusiasta, o fingeva. Ha provato a fare il moderno: «Ancora queste usanze? Scegliete un altro nome, io non ci tengo!»
«Minchia, e ora?» Abbiamo atteso qualche giorno, poi lo abbiamo chiamato dicendo che la scelta non era dettata da usi, costumi e tradizioni, ma era proprio che non sapevamo come chiamarlo. Si è rassegnato ed ha accettato la cosa. Lo abbiamo battezzato, perché, senza saperlo, aveva già peccato: un’anima così piccola e innocente, già reo! Vabbè, anche se pensavo "magari in futuro lo sceglie lui se battezzarsi o no": giusto, in teoria, ma in pratica se succede qualcosa di brutto va all'inferno.
"No, all'inferno no (fa paura l'inferno, non è la migliore delle prospettive per il futuro), quindi?":
"Quindi lo battezziamo" una scelta libera la sua e, nondimeno la nostra.
Adesso Giovanni ha vent'anni, non so come ha fatto così in fretta, forse ha barato chissà, o forse funziona così e passi senza accorgertene dal pannolino al motorino e via dicendo fino all'università.
Non mi ha mai dato fastidio che dicessero che somigliava più alla mamma che al papà, adesso però la cosa comincia a preoccuparmi. Non che somigli alla mamma, intendiamoci, ma che in parte somigli anche a me e non nelle fattezze ma nei modi e nei pensieri. Confesso che è imbarazzante ritrovare tutti i tuoi difetti, messi lì in fila, magari anche qualcuno che hai dimenticato, superato, insomma si cresce, si migliora, si cambia, si trovano strategie, ci si mette una pezza, si pensa di avere risolto e invece è ancora tutto lì e non sai come rimediare. È come guardarsi allo specchio col delay, cioè con il ritardo.
"Figlio è un essere che Dio ci ha prestato per fare un corso intensivo di come amare qualcuno più che noi stessi, di come cambiare i nostri peggiori difetti per dargli migliore esempio, per apprendere ed avere coraggio", questo dice Josè Saramago. Ecco, dopo tutta questa fatica i difetti sono ancora li.
Ho fatto errori e continuo a farli. Certo, ogni tanto ne imbrocco qualcuna e di certo mio figlio ha ereditato qualche mio talento e qualcuno della mamma, ma la probabilità che compia degli errori è altissima, e io lo so perché è una strada che ho già fatto. Metterlo in guardia? Certo, ci mancherebbe, ma, purtroppo gli errori vanno fatti di persona.
In questa storia dei geni ci deve essere qualcosa di sbagliato. Bisognerebbe che i figli ricevessero dei geni "imparati". Dei geni non ancora vergini, dei geni fatti, finiti e, soprattutto scaltri. Ma così non è.
Ma perché tutta questa preoccupazione? Beh, perché si vuole bene ai figli e, per loro vorresti il meglio o, comunque, vorresti che avessero meno problemi possibile. Ma i geni si replicano tutti, quelli buoni e quelli no. E, come se non bastasse, pandemia, inflazione, flagelli atmosferici sempre più frequenti, solitudini camuffate, femminicidi e tutto il resto, insomma il futuro non è roseo, è ignoto. L'ignoto preoccupa, non solo adesso, da sempre. Si consultavano gli oracoli per conoscere il futuro, i maghi e gli stregoni (ancora oggi) e ... Dio. Sì, Dio, o chi per lui, chiamatelo come volete, di quello si tratta, della paura dell'ignoto. Esiste la paura, anche i film di fantascienza alla fine esorcizzano la paura e parlano più di noi che degli alieni. E la paura può diventare anche angoscia. Delle volte mi chiedo perché il paradiso si chiama terrestre e non celeste. Forse perché il paradiso è proprio la terra senza l'angoscia: pensateci alla bellezza della terra senza l'angoscia, è già un paradiso.
Perché si fanno i figli? È istinto, natura, speranza e anche paura, sì, paura di non esistere più, di scomparire, sono il nostro futuro i figli, la nostra sopravvivenza, il nostro domani. Brutto affare la paura, ma bisogna conviverci e se ci riesci arrivano anche le soddisfazioni. Una sola vale più di mille paure e, guardandoti allo specchio col delay dici: «Beh, c'era anche qualcosa di buono e c'è ancora».
Quindi va bene così, perché deve andare così, nessuna paura per il domani anzi, sapete cosa vi dico? Domani ancora.

(La foto è di sarahbernier3140, Pixibay)
Guglielmo Tasca

Guglielmo Tasca è nato a Scicli (RG) nel 1962. Si è laureato al Dams e negli anni ha approfondito lo studio delle musiche e delle tradizioni popolari siciliane.
Nel 1996 ha vinto, insieme a Rinaldo Donati, il premio Recanati per la canzone d’autore con il brano Beddu nostru Signuri. Ha inciso numerosi dischi e si è esibito su palcoscenici.

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