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L'unico certo

Liliana Sinagra 14 ottobre 2023


Un’atmosfera diversa stamane, soleggiata, la ringhiera è bagnata da una fugace pioggia e il paesaggio si va liberando dalla leggera foschia. Una forte nostalgia e il desiderio di pace interiore mi porta dopo tanti mesi a raggiungere il cimitero. Trovo il cancello aperto, in strada non c’è neppure la macchina del custode, percorro il viale centrale e svoltando a destra, immersa nel silenzio accompagnato dal cinguettio dei passeri, come fosse un lampo giunge la risposta alla domanda “cos’è il futuro”? Da giorni e giorni, non riuscivo a trovarla, finalmente è arrivata.
Un saluto doppio, usando per uno quel solito nomignolo e per l’altro parole sussurrate, la sosta è breve ma non per il valore di quegli affetti, ma solo perché il tempo è l’unico medicamento dell’anima, seppur medicamento resta.
Una tappa dalla persona tanto amata che è dipartita da pochi mesi e per cui ancora la commozione arriva impetuosa al sol pensiero della sua perdita, riesco a sentire l’amorevole voce al telefono durante le nostre chiacchierate. Nella messaggistica ci sono tutti i nostri ultimi vocali, ma non oso ascoltarne uno.
Mi sposto, stranamente mancano i fiori, faccio il segno della croce e recito un eterno riposo. Proseguendo per quei luoghi di pace, mi fermo a salutare una vedova in lacrime. Piangeva il marito scomparso da poco, le porgo le mie condoglianze e mi racconta quanto sia dura per lei quella perdita e che i fiori adesso cominciano a durare di più, si perché l’aria è più fresca. Abbasso lo sguardo e noto che il marito è deposto alla prima fila dal basso, penso “sarà in prestito anche lui”. La donna in lacrime rimpiange la compagnia che traeva dal suo compagno di vita e mi racconta anche che adesso avrebbero un figlio di trent’anni. È difficile per lei abituarsi al nuovo rientro a casa in cui non trova nessuno.  Sopraggiunge un'altra vedova, si ferma qualche cappella prima, conosco anche lei, mi avvicino per rispetto perché anche suo marito è mancato da poco. La saluto e non sapendo cosa dire aggiungo: “qui è stato messo tuo marito? Mia nonna a breve la sposteranno, è in prestito”. Le signore in sincrono mi raccontano che gli unici posti disponibili che gli avevano proposto erano alla quinta fila, e che pertanto non intendevano spostarli da quel loculo in prestito: “E cu ci acchiana poi nta scala! Io ci vegnu tutti i iorna!”. Mentre vivevo questi momenti di tenere e umane premure, per il decoro di una tomba, per la durata dei fiori, per il valore di un loculo in prima, seconda o quinta fila, la mia mente era piacevolmente stupita per la risposta che aveva trovato alla domanda sul futuro. Osservando con cura a destra e a sinistra molti volti che conoscevo e tanti i segni dei familiari lasciati nelle tombe, persino un centrino ovale fatto a mano, come quelli che le nonne mettevano nei mobili porta tv, quando ancora non si appendevano al muro, lumini a batteria, souvenir da Lampedusa, letterine, bouquet di nozze ormai secchi. Il futuro era sotto i miei occhi, in quei 2,20 m x 0,70 m x 0,90 m, un vano chiuso atto a contenere quel feretro in cui tutti siamo destinati dopo il trapasso, sempre che non si opti per la cremazione e dunque le misure cambiano, ma solo quelle! Non è una visione creepy ma di certo l’unico vero futuro che ci attende! Posso solo aggiungere che al realizzarsi di questo futuro per ognuno di noi, viene a modificarsi quello di chi ci sta accanto, quello che io chiamo futuro imminente. Già proprio perché tornando a rifletterci su, mi rendo conto di quanto sia superficiale il nostro modo di vivere e mi convinco che per esorcizzare l’unica certezza imponderabile, “tutti dobbiamo morire ma non sappiamo quando”, viviamo ogni giorno pensando sempre che ci sia il tempo per tutto ciò che vorremmo condividere con le persone che abbiamo accanto e progettando un “futuro” fatto da mille incognite! Aspè, allora la mia risposta non è quella definitiva, perché viene fuori un altro concetto sul futuro e cioè che esso è “il raggiungimento dei propri obbiettivi”, “l’idea di realizzare un progetto”, “la presa di coscienza delle insoddisfazioni che pensiamo di alienare ottenendo un determinato risultato”, errore tutto ciò si chiama speranza per il futuro! Il futuro è la vita che ci attende, è il contrario del “qui e ora”, è l’incognita la cui grandezza sarà determinata solo a calcolo avvenuto e cioè quando diverrà passato.  Affascinata dal volto di un uomo giovane osservato nell’ovale di una foto di una tomba con su scritto nome, cognome, data di nascita, di morte e “UNA PRECE”, mi portai a casa quel suo sguardo “allegro” e ripensando alle parole futuro, desiderio, vita, morte, ho fantasticato di lui e della sua fine.
“Seduto a guardare le stelle, ancora una volta ad agosto si interrogò sul perché da lassù non fossero venuti a prenderlo. Attendeva da sempre quella svolta.
Era stato fin da piccolo convinto che nel blu pesto che l’occhio ingordo cerca di spiare ci fossero loro, gli “altri”.
Di colpo si sentì avvolto da forti vibrazioni, fitte, come concentriche intorno a tutto il corpo; nessuna paura solo profonda emozione e la convinzione che finalmente fossero arrivati per portarlo via.
Macché, era l’ennesimo sogno durato qualche istante. Guardò l’orologio, si alzò e decise di mettersi a letto.
Subito sprofondò in un sonno profondo. Lungo lunghissimo sonno che al suo destare gli fece prendere coscienza di non essere a casa sua. Tutto ora era da esplorare, sovraeccitato da una curiosità convulsa, voleva scoprire tutto.
- Dove sono? Non ho salutato mia madre! A lavoro come faranno? Il mutuo? Luchy????? Povero cane mi cercherà ovunque!
Sconforto e paura gli piombarono addosso: tutto intorno non c’era nulla e non riconosceva nulla, perché nel nulla non poteva esserci qualcosa.
Scoprì se stesso e chi fosse in quel preciso istante. Ritrovò tutto quello che da sempre aveva voluto lasciare alla ricerca di una nuova dimensione ultra terrestre.
Con lo sguardo cercava di scorgere qualcosa in mezzo al nulla, ma i suoi occhi non coglievano segni di presenza, nessuna costruzione. Notò che non stava camminando ma si spostava, in un modo che non gli apparteneva, di botto vide da fuori l’interno del suo ufficio dove tutto scorreva tranquillo, tornò a camminare, dopo i primi passi, percepì il pavimento sotto i piedi, ma si arrestò con la mano sulla maniglia della porta. Quella sensazione di quando si spostava nel nulla era più confortevole. 
Ora sentiva il peso del suo corpo. Non aprì quella maniglia e subito sentì quel “nulla” familiare, consolante più della sua vita: aveva scelto.
Macché! In realtà era semplicemente morto e un briciolo di attività cerebrale lo faceva ancora ragionare.
- Perché non ci ho mai pensato? Morire è più semplice che aspettare che gli “altri” mi portino via!
Le umane cose non erano il suo forte, immaginare nuove forme di vita intorno a sé, fantasticare su pianeti vivibili lo aveva sempre fatto sperare in una vita migliore, ma rispetto a quale dimensione?
Cominciava ad avvertire sete, ma capiva che si trattava di una sete diversa, non di acqua. Quel suo volere, che gli faceva percepire sete, era come la sensazione che da bambino lo spingeva ad arrampicarsi sul fragile albero per staccare i fichi. Li palpava per scegliere quelli più maturi, poi con una piccola rotazione del polso li staccava dal ramo. Il suo volto si rilassava in un sorriso quando vedeva sgorgare quelle gonfie gocce lattiginose dal fico.
Quella nuova forma di sete era l’odierno suo desiderio di possedere, di conquistare qualcosa, da bambino era il fluire di quel liquido bianco grazie ad un fico da sbucciare e mangiare e ora? Come poteva colmare la sua nuova sete?”.

Liliana Sinagra

Liliana Sinagra, classe '78, libera professionista nel campo dei servizi tecnici nella vita lavorativa, fin da ragazzina scopre la sua passione per il teatro in una compagnia amatoriale e nel tempo frequenta una scuola triennale di teatro contemporaneo presso il Teatro Zeta di Termini Imerese (Pa). Con all'Associazione Culturale Kairòs di Sciara (Pa) cura la regia di commedie dialettali portate in scena dagli adolescenti del proprio paese. Curatrice degli eventi del Festival del Torto Nella Valle dei Racconti fin dal 2019, nel 2021 viene nominata vice presidente dell'Associazione Culturale Nella Valle dei Racconti che si occupa dell'organizzazione dell'omonimo festival e della promozione culturale del territorio della valle del fiume Torto. Sensibile alle tematiche sociali, ha ideato vari progetti artistici, tra cui un video contro il femminicidio realizzato con gli attori del Teatro Zeta e la fotografa Olga Flaccomio. Coordinatrice delle ultime due edizioni del Dedalo Festival di Caltabellotta (AG) accanto al direttore artistico Ezio Noto.

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