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Il futuro interiore degli agrumi

Carlo Blangiforti 14 ottobre 2023


Il barcellonese Bartolo Cattafi, un poeta morto nel 1979 a Milano, nella sua poesia Arancia tratta da L’aria secca del fuoco, scrive: «Da una salvietta annodata / una scema d’arancia / tonda come la luna occhieggia e ride / tra il pane secco e la sarda salata».
La scena appare come una scena familiare, una sorta di viaggio nelle parole semplici della quotidianità: un tovagliolo abbandonato su una tovaglia a fine pasto (o durante una cena frugale), deserto bianco, relitti di posate e pietanze, monti candidi di cotone e pianure popolate da molliche di pane. Una sardina sotto sale, un tozzo di pane… Il poeta è un siciliano che, attraverso l’invisibile, ha assorbito “nella sua carne tutte le memorie dell’isola nativa”.
Vero la nostra attenzione è catturata da un’arancia scema, ma è un momento, un attimo, guardiamo senza vedere; quell’arancia non appartiene al mondo che rapisce i nostri sensi ma a quello, per dirlo con Georges Perec, dell’infraordinario, quello in cui «tutto ciò che è sotto gli occhi, così ovvio che non lo si nota, ma esiste per un attimo poi sarà perduto per sempre». In questo panorama minimo campeggia un paesaggio dell’anima, un paesaggio mostruosamente nostrale: «Domani apriremo l’arancia / il mondo arancia nel verde domani, / si poserà la nuvola lontana / con le zampe guardinghe di colomba / sopra il tetto di tegole vecchie / sopra il tempo piovuto rugginoso, / serberò al tuo petto quell’odore / d’arancia viva, di verde domani». E il domani è una sorta di futuro possibile.
All’infraordinario non appartiene solo quell’arancia, ma appartengono le insegne di certi negozi, i cartelli stradali, le persone che incontriamo decine di volte ogni giorno ma che non rapiscono la nostra attenzione, non per indifferenza, non per cattiveria, ma perché così è. Nel regno dell’infraordinario troviamo anche gli alberi, tutti gli alberi: se si mostra a qualcuno un’immagine in cui non sono presenti né uomini né animali, in cui è rappresentato un paesaggio fatto di monti, alberi e piante, questi alla domanda «Cosa c’è nella foto?» risponderà «Nulla, amico!»
Dalle nostre parti vittima di questa disattenzione sono indubbiamente i limoni, gli aranci, gli alberi d’agrumi: li incontriamo nelle campagne, nei vasi d’arredo urbano e nei viali di alcune città, compagni discreti e invisibili.
Giuseppe Barbera è un grande conoscitore di questo paesaggio e il suo interessantissimo libro Agrumi - una storia del mondo ne è un’elegia in forma di saggio.
Per il lettore profano, uno dei mille pregi del volume sta proprio in questo strappare all’infraordinario l’agrume per trasporlo nel piano dello straordinario.
Barbera, con lo strumento di una prosa limpida e affascinante, ricostruisce un legame tra noi, la nostra storia, fatta di miti, di passato, presente e futuro, e il variegatissimo mondo del citrus.
Gli agrumi sono frutti che hanno viaggiato, e hanno viaggiato fino ad adagiarsi sulle nostre tavole, sciogliersi in bevande paradisiache, sublimarsi in capolavori da profumieri. Hanno accompagnato imprese mitiche e epopee umane di assoluta grandezza.
Agrumi è un viaggio. Non solo perché a viaggiare sono proprio i protagonisti di questo volume, gli agrumi, ma perché siamo anche noi lettori che intraprendiamo questo percorso “iniziatico” nello spazio e nel tempo. Ma cos’è l’opera di Barbera? Un saggio? Un romanzo d’iniziazione? Un baedeker per affrontare la vita come fosse un’avventura? Letteratura odeporica “sui generis? Agrumi - una storia del mondo è questo e molto altro.
Fin dal titolo e dal sottotitolo, si comprende bene quale è l’intento dell’autore: raccontare la storia del mondo, il nostro “mondo”, attraverso un genere di piante che ha marcato non solo le vicende colturali di intere comunità (noi siciliani dovremmo saperlo bene), ma anche paesaggi collettivi di nazioni e regioni (questo è soprattutto un fatto culturale).
Basta guardare la meravigliosa copertina di Giulia Conoscenti o l’immenso e accurato apparato iconografico che arricchisce e “spiega” il volume per capire che poche righe non possono riassumere questo libro complesso. Si tratta di un’opera densa di sentire in ogni singola frase, che riesce a trasformare il lettore in persona piena di riconoscenza verso l’autore.
Barbera con la sua “prosa” essenziale, senza essere minimale, sobria e gradevole, non costruisce solamente un inventario sentimentale, non racconta soltanto la polifunzionalità di una pianta che ora regala bellezza (nei nostri giardini, nelle orangerie ecc.), ora bontà, ma racconta storie e avventure, gioie e dolori, in altre parole racconta la storia stessa dell’uomo.
L’autore ha suddiviso il suo viaggio in tre parti ognuna costituita da diversi capitoli che affrontano gli aspetti più disparati delle suggestioni che ci vengono da questi frutti.
I miti: la mitologia, dice Barbera, “ha una sua origine e una sua geografia” e in questa frase c’è tutto un piano programmatico. Il mito è fondamentale perché spessissimo si risolve in un paradigma che dà forma al pensiero, in altre parole trasforma il nostro sguardo sulla realtà. Il mito è qualcosa che ricompone, che riconduce alla realtà delle cose. E Barbera affronta i miti dell’antica Cina, i racconti della Bibbia e quelli del mondo greco, per fonderli e intrecciarli, per farne patrimoni archetipali.
La parte storie espone, con un certo compiacimento per il mai banale aneddoto, le mille storie legate a questo genere. Sono testimonianze, documenti, attestazioni più o meno dirette del passato. L’esposizione è un percorso anche cronologico che partendo dall’eredità romana, passa per i giardini d’Oriente e il rigoglio dei giardini arabo-normanni di Sicilia, passa per quelli dei Medici e le loro raffigurazioni pittoriche, racconta della lotta allo scorbuto e del ruolo degli agrumi nella conquista culturale e politica del globo da parte degli europei.
Infine, i futuri. Il futuro non è, non può essere uno solo è il racconto della realtà immaginata, è letteratura (“Kennst du das Land” della Mignon di Goethe), è l’appropriazione privata di questo universo sensoriale (le orangerie, alle limonaie e cedraie…) Il futuro era (è) anche l’arrivo di nuovi ibridi, la loro apparizione sui nostri scaffali del supermercato e nell’immaginario pop, è il pericolo incombente delle malattie (tristeza, greening ecc.)
Il futuro è la declinazione che gli agrumi hanno avuto dalle nostre parti, gli usi, le aspirazioni, le grandi avventure anche culturali. Declinazioni che coinvolgono aldilà dell’aspetto puramente economico, che raccontano avventure e passioni:
i vari prodotti (limoncello della costiera, arance californiane, chinotto ligure, bergamotto calabrese ecc.) sono strumenti che permettono a Barbera di continuare il suo viaggio e ammaliare il lettore. Una specie di viaggio da fermo, più vero, profondo e intimo di qualsiasi viaggio nei santuari dell’esotismo di massa… E poi c’è l’epopea degli agrumi siciliani. L’agrume siciliano che nella seconda metà dell’800 conquista il mondo, modifica anche il nostro paesaggio e racconta di come l’uomo interagendo con le colture lo ha costruito. Là dove ora ci sono aranceti, fino a una settantina di anni fa, c’erano uliveti, mandorleti e frumento.
L’uomo ha costruito così un futuro intimo che si aprirà a chissà quanti futuri possibili, un futuro in cui continuerà a raccontare che bisogna conoscere il regno della bellezza, il paese dove fioriranno ancora a lungo i limoni.

Autore: Giuseppe Barbera
Editore: Il Saggiatore, 2023
Pagine: 320 p., Brossura
ISBN: 9788842831815
Prezzo: 25,00 €

Carlo Blangiforti

Carlo Blangiforti è di Mineo (Catania) e vive a Ragusa. Laureato in lingua e letteratura russa, si occupa di editoria, grafica e eventi culturali. Ha pubblicato raccolte di versi (Distratti e lontani, Maremmi Editore, 2009), di racconti (Tre per tre, Operaincerta, 2015), il romanzo breve Un vento che passa, un’ombra, un niente (I quaderni del Centro, 2010), i racconti Antipatizzanti anonimi (in Della Antipatia, 2019) e  Senza l’odio non c’è amor? (in Oltre il confine dell’oblio, 2020). Ha scritto i testi per il libro fotografico Mineo - storie di pietre e uomini  (I quaderni del Centro, 2020), il saggio Urlano anche i topi (Operaincerta, 2010) e due volumi sulla storia della gastronomia siciliana, L’ingrediente segreto (Le Fate, 2017) e Panza e assenza  (Le Fate, 2016). Assieme ad altri compagni di viaggio ha scritto Il carrubo è l’uomo (Abulafia editore, 2022).

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