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Andata e ritorno

Davide Macor 14 settembre 2023


Il ritorno. Mai come in questi ultimi anni ho pensato e vissuto a pieno questa parola. Già, perché se di placcaggi duri nella vita (sportiva e non) ne ho ricevuti tanti, quello provato a febbraio 2020 è stato senza ombra di dubbio il più duro mai subito e il più duro da cui rialzarsi. E il bello che questo aveva addirittura un nome e cognome: linfoma di Hodgkin. Oh, io al solito ho provato a subirlo per bene tutto, ma per sfortuna questa volta ha colpito un mio "compagno di squadra": mio figlio Edoardo.
Così, come il rugby mi ha insegnato in tanti anni di gioco sul campo, mi sono rimboccato le maniche e ho provato a salvare il salvabile. Perché ‘sto diavolo di Linfoma non fa proprio sconti. Ed Edo a 6 anni non poteva proprio essere lasciato da solo sul campo da gioco.
Ricordo ancora quella giornata: la dottoressa che tergiversava nel cercare di dirci la diagnosi dell'ennesima ecografia. Mia moglie Giulia, intanto, che da buona donna aveva capito tutto molto prima di me, cercava di trattenere le lacrime e tutte le preoccupazioni del mondo. Io, invece, non riuscivo che a pensare all'obiettivo ultimo, da buono sportivo. Dovevamo fare determinati passi per guarire.
Ecco, tuttavia, una cosa non l'ho proprio mai pensata, l'ho sfiorata certo, ma non ho l'voluta prendere come una possibilità: la morte. Provate a pensare ad una giornata uggiosa, fredda, uno studio medico, tua moglie distrutta e tu che devi farti forza per due, anzi per tre. Perché usciti da quello studio, ci sono stati 20 metri di camminata silenziosa, prima dell'entrata nella stanza di Edo. Lui era lì, al solito, piccolo, stanco, sofferente. E io, mai come in quel momento, avrei voluto piangere tutte le lacrime del mondo. E prendermi tutta la sua sofferenza. Tutta. Ma Edo mi vedeva e mi vede ancora come un grande e grosso supereroe e così ho deciso che avrei posticipato la mia personale sofferenza. Abbiamo scherzato, mamma l'ha abbracciato, e poi ci siamo mossi verso casa. Lui dalla nonna. Io a prendere delle cose a casa e a cercare di tenere stretti i pezzi della mia anima e del mio cuore in quel momento completamente distrutti.
Già, perché quando parliamo di tumore, prima, siamo sempre super razionali. Quando tuttavia il tumore ti cade addosso, la cosa è ben diversa. In particolare per me. Perché? Semplice: mia moglie ha perso la madre a causa di sto cazzo di male, mio figlio aveva solo 6 anni e la mia famiglia è stata falcidiata dalle perdite per i tumori più vari. Quindi mai come in quel momento mi sono sentito in dovere di non cedere e cercare di tenere tutto stretto. Tutto per me. Sofferenza, dolore, lacrime, presente, futuro, paure. Un casino? Assolutamente sì. E penso di non esserne ancora uscito del tutto. E gli amici? Diciamo che quelli lontani sono stati impeccabili. Il rugby, poi, mi ha sommerso di sostegno ed affetto. Aspetto che ha aiutato tantissimo Edoardo. E quelli vicini? Come detto la parola tumore fa paura e in molti hanno preferito non partecipare. O, per meglio dire, partecipare senza partecipare. Quando sarebbe bastata una telefonata.
In ogni caso, razionalizzata la notizia, consolato costantemente da un amico con la A maiuscola, Valerio Amodeo, che si sarebbe trasferito ad Udine se il covid l'avesse permesso. Non finirò mai di ringraziarlo.
Abbiamo iniziato questa lunga avventura. Fatta di chemioterapia, radioterapia, mille prelievi del sangue, nottate insonni, pranzi orribili, cene peggio, ma anche di tanta empatia con medici ed infermieri del Burlo, tante occhiate complici con mia moglie Giulia, la presenza importantissima di mio padre che si è trasformato nel miglior accompagnatore del mondo, la scuola in ospedale, i miei aperitivi (mai fatti, ma dichiarati), il mio modo di prendere ogni cosa fatta assieme ad Edoardo come un gioco. Ci siamo presi sul serio? Quello mai. Però spiegare al proprio figlio cos'è un tumore, cosa rappresenta e cosa deve fare non è facile. Ancora di più se tua moglie, incinta, non è lì con te a fare tutto questo. Gravidanza=niente medicina nucleare (giustamente).
Così ti trovi ad essere padre tutto d'un botto. Devi prendere decisioni, durissime, da solo. Devi accompagnare tuo figlio in sala operatoria, vederlo addormentarsi mantenendo sempre quel sorriso (non falso) che lo aiuta a tranquillizzarsi. Essere splendido al suo rientro in stanza. Senza dimenticare le misurazioni del sangue nella pipì durante le lunghissime notti insonni, i caffè riscaldati (una manna dal cielo e una sofferenza allo stesso tempo), le visite di quei santi degli infermieri, i capelli persi, le telefonate degli amici veri (Tiziano, ad esempio, si era segnato le date della chemio e mi chiamava sempre prima di iniziarla. Per non dire nulla. Ma se avessi voluto...lui era li al telefono o di Valerio che voleva aggiornamenti anche rispetto alla cacca di Edo; senza dimenticare il super Fabrizio Gemma: un lego ad ogni inizio mese. E la cosa bella è che ci siamo conosciuti ben dopo la conclusione della malattia. Una persona splendida. Questi sono solo alcuni esempi).
Ecco, questa è una parte di quello che abbiamo vissuto. E cosa c'entra questo con il ritorno? Diciamo che Edoardo ha superato la fase critica in maniera impeccabile. E, lentamente, un giorno alla volta, è tornato ad una vita più che normale. Un ritorno vero e proprio, tuttavia, per me si è materializzato con il suo personale ritorno su un campo da rugby. Una corsa spensierata e felice verso i suoi sogni più grandi! Fatta di amici, profumo di erba tagliata e tanta (mai troppa) palla ovale.
E io? Io sto cercando di ricomporre i pezzi della rottura iniziale. Ci provo. Un giorno alla volta. Ma ho ancora tante lacrime arretrate, tante cose non dette, mille preoccupazioni in più. Ma tutto questo lo tengo per me, perché ora c'è una vita da vivere che è quella di Edoardo, così come quella di sua sorella Anna e dell'ultima arrivata Viola. Senza dimenticare Giulia. Santa donna a sopportare tutto a distanza. 
Ah, tutto questa avventura sto cercando di riassumerla in un libro. Una cosa triste? No! Una cosa reale, fatta di lacrime e tante risate!

Davide Macor

Davide Macor è nato a Udine il primo aprile 1983. Rugbista da una vita, giornalista sportivo, scrittore, speaker. Allenatore, addetto stampa, padre e marito.

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