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Gentile dottoressa...

Antonio Famà 14 settembre 2023


Da mesi mi imbatto nella parola “Ritorno”. Ho cominciato a pensare che significasse qualcosa e ho scoperto che risuona in me come torchio e tornio, come forza difficile da controbattere e come movimento centripeto che mi riporta perennemente ad un unico punto. Deve essersi inceppato qualcosa in me in un momento della mia vita, o sbloccato, non so. Più volte ho provato a rintracciarne l’origine, ma senza successo. È molto probabile che ciò attorno a cui mi arrovello e che periodicamente riemerge risale al momento del mio concepimento e, quindi, sia spiegabile solo dal punto di vista genetico. È parimenti verosimile che fattori esterni quali il divorzio dei miei o la malattia di mia madre e di mia sorella abbiano influito, insieme ad altri eventi ingestibili per un bambino quale ero all’epoca dei fatti, determinando quella che più volte ho etichettato come “confusione”. Il tema del mio ritorno coincide con la sfera sessuale e l’intoppo tra il mio sentirmi eterosessuale e la fantasia di voler operare una fellatio ad una certa tipologia di uomini.
Più volte ho tentato negli ultimi giorni di scrivere qualcosa che fosse al tempo narrativo e memorialistico, un paravento che mi proteggesse e un vetro trasparente che mi consegnasse per come sono alle persone che potrebbero leggermi. Ho scritto, ho rivelato, ho chiesto consiglio e poi ho cestinato. Ci sono ostacoli alla mia apertura e sono da un lato il voler proteggere me stesso e la mia famiglia e dall’altro la paura di scoprire di me qualcosa che potrei non voler sapere. Negli anni ho partecipato a vari gruppi di sostegno: adulti che si raccontano e cercano di opporsi ai preconcetti della gente. Parlare di autostima, conflitti familiari, suicidio, malattie gravi e sessualità non è semplice, né scontato. Le scrivo stasera, Dottoressa Bongiovanni, perché la sua foto nella rubrica in qualche modo mi trasmette fiducia. Non ho mai letto nessuna delle lettere che altri lettori della rivista le inviano, né le risposte che lei dà loro. Ho trovato un’uscita del giornale in bagno e da un’orecchietta sulla pagina ho capito che mia moglie segue la sua pagina. Mi firmerò con un nome che non mi appartiene, ma che mia moglie, qualora dovesse leggere queste righe, riconoscerà prontamente.
Abbiamo perso tre bambini prima di avere nostro figlio. I nostri rapporti prematrimoniali erano frequenti e, apparentemente, soddisfacenti per entrambi. Dagli aborti, e dopo la nascita di nostro figlio, undici anni fa, mia moglie ha diminuito significativamente il numero dei nostri incontri. Tre anni orsono ha smesso del tutto. Ho tentato in ogni modo di capire e ho contattato anche una terapista di coppia; non siamo giunti a nulla di fatto: lei non vuole avere nessun tipo di contatto con me. A questo stress, come allo stress in generale, io reagisco, purtroppo, col desiderio inspiegabile per me di voler procurare rapporti orali a quegli uomini che incarnano qualità che io non riconosco in me e che mia moglie soprattutto mi rinfaccia di non avere: prestanza fisica, mascolinità accentuata, carisma. Quando mi arrivano queste sue stilettate la mia autostima precipita in un abisso senza fondo e impiego mesi per poter riemergere. Non so bene perché io rimanga ancora con lei, né perché non abbia trovato un’altra donna, né, soprattutto, perché reagisca con una fantasia simile allo stress. Non do seguito a questi pensieri desiderando una vita di coppia con un uomo, non immagino tenerezze di qualche tipo o altre attività connesse. È come se sentissi il bisogno di umiliarmi ulteriormente perché riconosco di non essere meritevole delle sue attenzioni.
Dottoressa, Marina, Le chiedo aiuto. So che se questa mia lettera verrà pubblicata, mia moglie la leggerà. Forse, qualcosa si aprirà in lei e tornerà a includermi nella sua vita e, forse, sarò di nuovo appetibile ai suoi occhi. Sono stato sincero fin oltre la decenza e la prudenza, mi creda. Spero in Lei.
Grazie,
Marcello.

Antonio Famà

Sono nato a Catania il 09.05.1974. Insegno Inglese.

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