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Ritorni... che non tornano

Roman Henry Clarke 14 settembre 2023


Quanti ritorni ci sono di cui si potrebbe parlare! Molti li troverete in queste pagine. E di molti altri si parla in questi giorni. Si pensi ai Rolling Stones. Si potrebbe enfatizzare su come questi signori, già considerati "dinosauri" negli anni novanta (quando diedero alle stampe - ad opinione di chi scrive - le loro cose migliori in venti anni a quella parte: Vooodoo Lounge e Bridges to Babylon) e che ancora sono lì. Un "pezzo" in meno (Charlie Watts), uno di (parziale)…  ritorno (manco a dirlo), Bill Wyman, e un pugno di brani. Che potrebbero essere gli ultimi, chissà. Ma in anni che, nell'immediato dopo-Covid, vedono un innumerevole numero di "farewell tours" di band storiche alle prese con l'età, i tre superstiti (i Glimmer Twins e Ronnie Wood) tengono in piedi la macchina. Una macchina di soldi, un business inarrestabile, direbbero "gli invidiosi".
Di certo, gli Stones, tra alti e bassi, rappresentano il rock ed il correlato music business in letteralmente la sua intera storia. No, non è di certo un ritorno.
Allora, parliamo di fascismo? Da qualche tempo a questa parte sono tornati temi e posizioni che sembravano archiviati, superati, dimenticati finanche. Lotte che sembravano compiute, o quanto meno instradate e di sicuro esito, tornano di attualità in una ritrovata incertezza, con il nastro che sembra "riavvolto" da esiti elettorali, fatti di cronaca, "scorribande editoriali" (non c'è voglia di dar notorietà qui a certi partiti, esponenti, libri). Temi, proposte, soluzioni e reazioni che sembrano fuoriuscire dalle "fogne" a cui erano stati relegati negli anni settanta, sono oggi all'ordine del giorno, quando fino a poco tempo fa al massimo erano frutto di gruppi ai limiti della legalità, costretti all'extraparlamentarismo.
Conquiste assodate (interruzione di gravidanza, diritto alla genitorialità, diritti degli stranieri, diritti delle donne e delle persone di sessualità non binaria, diritti degli animali selvatici, eliminazione del servizio militare obbligatorio, e potremmo proseguire per pagine e pagine nonostante sia tutto ri-emerso negli ultimi mesi) tornano a rischio in un sistema politico, quello italiano, che la "continuità" nemmeno se la sogna, vittima di una mancanza di identità reale, di una solidità di base, e di un mercato elettorale sempre aperto.
Ma, è davvero una novità? È un ritorno? Certe posizioni sono endemiche in Italia, che non ha mai fatto i conti con il proprio passato (sarebbe bastata una Norimberga italiana? Di certo c'è che non c'è stata), con in più le pressioni di un minuscolo staterello del tutto circondato dal territorio italiano (indizio: non è la Repubblica di San Marino), il tutto esacerbato da una comunicazione divenuta anomica, grazie ai social network. Qui si direbbe che già con la tv commerciale si era condizionato pesantemente il comportamento elettorale degli italiani, ma in fondo (pesa dirlo) certe posizioni erano comunque tenute ai margini, ora emerse dalle suddette "fogne" grazie al fatto che ognuno è "emittente", oltre che "ricevente". E chi grida più forte (magari spendendo di più in sponsorizzate...) fa più presa. Ecco: fa presa su un terreno fertile. Il fascismo non è una novità in Italia (fatevelo dire da un britannico: da noi il fascismo non fece presa, venne zittito senza troppi complimenti al suo esordio storico, e ogni "rigurgito" è stato limitato. Forse anche perché nel Regno Unito una destra - non fascista - c'è da sempre), ha un suo consenso sempre pronto a riesplodere. Ma - ancora al momento - non si tratta di un ritorno.
Ecco, ancora una volta parliamo di non ritorni. E qui si perdoni lo scrivente, perché in conclusione si aggiunge un non ritorno personale.
Questo 2023 è l'undicesimo anno che il sottoscritto non ritorna... dove doveva tornare. Pioniere dello "smart working" (o "lavoro agile", come amava chiamarlo il prof. Domenico Masi, scomparso il 9 settembre scorso), girovago per vocazione (forse retaggio del sangue "gypsy" condiviso con il summenzionato Ronnie Wood), avevo eletto l'Irlanda come luogo ottimale. Anni trascorsi in altre nazioni (sono scettico su quei nomadi digitali "mordi e fuggi" che in poche settimane, se non giorni, paiono aver capito tutto di un posto e lo raccontano pure su YouTube e sui social, con un preoccupante consumismo geografico) mi avevano spinto in quello che sembrava l'ottimale compromesso climatico, culturale, sociale, economico, linguistico per un soggetto come me. A luglio 2012 un veloce ritorno (ancora una volta) in Sicilia, giusto per qualche giorno... durato sin qui. I motivi meriterebbero (almeno) un articolo a parte. Se mai vedrà la luce. Molte vicende dolorose e spiacevoli, ma anche con innegabili gioie.
Di certo, un mio ritorno a Dublino che non avverrà: se non, forse un giorno, da turista. Ma ce ne sono di posti inediti da visitare e vivere! Lì, e qui (in Sicilia), e in me, molte cose sono cambiate, la storia è andata avanti. Una minestrina che non è nemmeno possibile riscaldare.
Ma esistono altri approdi. Come questo, su Operaincerta. Con le sue storie (anche del sottoscritto) da raccontare.

Credit: foto di Katina Rogers

Teresa Bellina

Roman Henry Clarke

Roman Henry Clarke è nato in Sicilia, allungando l’oceanica lista dei britannici nati fuori dai confini dell’allora Impero. Ha vissuto un po’ ovunque in Europa. Ha studiato molte cose in autonomia, ma all’università ha scelto le scienze sociali, laureandosi in Scienze Politiche. Giornalista per deformazione, fotografo per vocazione, consulente universitario per serendipità. Cristiano metodista, anarchico, libertario, è papà single di Stevie, che è in cima al suo mondo, senza in questo fare a pugni con le proprie passioni e convinzioni.

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