Via De Grasperi, 20 - 97100 Ragusa +39 348 2941990 info@operaincerta.it

Un cuore da nutrire

Carlo Blangiforti 14 settembre 2023


Un cuore da nutrire è un libro che parla di cibo, ma non solo. È un libro complesso, che ha la forza di un romanzo e che tocca l’anima dei lettori come una carezza delicata. È inevitabile, dunque, leggere il libro di Iwasaki-san come fosse un viaggio metaforico attraverso un mondo delicato dove i ricordi, i desideri, la nostalgia di chi ha voluto e saputo riprendere il cammino verso casa si fondono in armonia. È un viaggio “culinario” di riappropriazione, di ritorno nel luogo in cui, indubbiamente, si è imparato ad amare la vita.
L’autrice Iwasaki Motoko, giapponese che vive da più di vent’anni in Piemonte, dichiara esplicitamente il perché di un libro scritto per il lettore italiano: l’intento non è solo quello di far conoscere il suo paese attraverso la cucina, con grande determinazione vuole collegare il suo presente con il suo passato. Tornare a casa perché in fondo non è mai andata via.
Nel leggere il libro le suggestioni sono tante per chi come noi, uomini e donne di un occidente lontano e marginale, ha conosciuto il paese del Sol Levante costruendo un immaginario lezioso e a tratti troppo propenso ad accettare il folklorico come verità indiscussa. E il cibo senza dubbio fa parte di questo scenario: è difficile orientarsi nel fiorire della cucina pseudo-nipponica da all-you-can-eat, dove preparazioni di dubbia qualità rispondono unicamente al principio del consumo a basso costo. Come l’autrice spiega bene nell’introduzione con quel tipico approccio discreto e rispettoso nei confronti della “sacra” tradizione della cucina del tempio Eihei-ji, rappresentata dal maestro il tenzo, il capo cuoco Miyoshi Ryokyu, e come ribadisce in maniera sintetica e efficace il curatore della bellissima prefazione, Gad Lerner, il cibo è qualcosa che va oltre gli ingredienti e i codici, la sterile grammatica della cucinistica e le mode del momento: il cibo è nutrimento dell’anima. L’arte culinaria giapponese di cui parla Iwasaki Motoko, è quella di casa, la cucina è uno spazio intimo fatto di penombra, odori, suoni e legno; attraverso le pagine del suo libro è soprattutto il mondo del Giappone rurale che appare, una dimensione in cui i contadini sono portatori di conoscenze antiche, i cui uomini e donne parlano e si muovono quasi fossero massari siciliani o malgari piemontesi. È un mondo fatto di ritmi lenti, aria pura, boschi e risaie, abiti tradizionali e curiosità sincera verso il mondo (anche il più lontano, che sia America o Europa).
L’autrice non rinnega l’immagine, se si vuole un po’ stereotipata, che riecheggia nelle nostre contrade. La visione di un Giappone che, specie tra i più giovani, negli ultimi anni è divenuta molto più articolata, è comunque presente. Oggi il paese del Sol Levante gode di amplissima notorietà, non passa mese che non si diano alle stampe volumi dedicati al Giappone, la straordinaria diffusione di anime e manga è così pervasiva da lasciare sorpresi anche gli operatori del settore, lo sviluppo degli interscambi culturali e culinari tra il nostro paese e il Giappone ne è simbolo, fatti che hanno  contribuito a riformulare un’idea esotica e vacua  (a cui ci eravamo abituati fin dai tempi di Madama Butterfly) verso una conoscenza più profonda e totale. Per quanto si abbia l’impressione che questa sia compartimentata, settorializzata e tribalizzata, le eco si espandono finalmente in tutti gli strati della nostra società.
Detto questo gli elementi di cultura nipponica pop nel libro sono marginali: gli oggetti dell’immaginario occidentale (Mifune Toshiro e Kitano Takeshi, i samurai e la yakuza, il harakiri o il seppuku, il kimono e il sushi, il sake e il sashimi, Hiroshima e i kamikaze, i manga e la katana, il paese della tecnologia invasiva e delle grandi metropoli moderne ecc.) restano lontani dall’universo di Un cuore da nutrire.
Anche se nel susseguirsi di capitoli, persone o personaggi, pietanze e suggestioni, è impossibile non vedere nella Motoko bambina, tra ingenue monellerie e scorribande attraverso i campi, i rimandi all’opera del maestro dell’anime Miyazaki  Hayao. Nella lettura del volume non si può fare a meno di cadere nel gioco dei parallelismi con film come Il mio vicino Totoro: la famiglia Iwasaki nella casa di Eiheiji sembra quella di Kusakabe Satsuki di Tonari no Totoro: la madre costretta in ospedale, il padre che si occupa della casa, la nonnina elemento di riequilibrio, la compagine di amici che come lucciole svolazzano nelle calde e afose serate estive...
Leggere il libro Un cuore da nutrire attraverso questa griglia è naturale e, forse, un po’ scontato, ma permette di entrare in maniera più sommessa ma sicura nell’universo intimo dell’autrice.
Non bisogna dimenticare che il libro parla di cibo, di sentimenti, di donne e uomini, di verdure e ingredienti… Il cibo è, in realtà, la cifra di questa vita, ne scandisce i tempi e la volontà di non far perdere l’appetito al lettore e anche nei momenti più tristi ne governa e dirige la leggerezza.
Al centro del libro, dunque, sono le persone, le singole persone, con nome e cognome, ruoli sociali e legami personali, persone con un loro mondo individuale unico non replicabile.
Quando si parla di cibo, cibo e rievocazione, si fa riferimento alle classiche madeleine di Proust, le madeleine il cuisapore e profumo evocano in noi ricordi del passato. L’autrice del libro invece usa una specie di sinestesia: sono i suoni che attivano la memoria, però non già personali, ma quelli collettivi. Tante sono nel libro le onomatopee: il frinire delle cicale, il tup tup del saké quando si versa, come visto il tomp tomp delle dita sull’anguria, lo shum shum del bollitore (che in fondo ci ricorda il caratteristico rumore della moka al mattino) e il tonk tonk del coltello sul tagliere.
Ogni capitolo è costruito in maniera simile: in linea di massima il titolo richiama quasi sempre una pietanza della tradizione che viene associata a un ricordo d’infanzia, ad una persona più o meno cara, a personaggi che sono descritti con grande forza e padronanza, personaggi mai piatti, raccontati con sapienza tra aspetti fisici e psicologici che ne fanno non tipi umani ma persone a tutto tondo.  E alla fine di ogni capitolo c’è sempre una sorta di morale appena accennata, una bellissima e vera pennellata di poesia, un momento in cui l’autrice si proietta nel suo presente (“Oggi, dal fruttivendolo, è toccato a me controllare lo stato di maturazione dell’anguria battendo il suo fianco. Tomp tomp, insieme alla risposta dal cuore del frutto, tompPer un solo istante ho viaggiato in quel mattino d’estate giapponese…”)
E capitolo dopo capitolo abbandoniamo la Motoko bambina e incontriamo una giovane donna che scopre in qualche modo il mondo. Incontriamo personaggi, alcuni la cui presenza è quasi in filigrana, altri che attraversano costantemente la narrazione, come la figura del padre. Uomo talvolta rigido, altre dolce, fragile e duro.
Leggendo il libro si ha quasi la sensazione che le persone con le loro relazioni, le empatie divengano cibo, nutrimento per l’anima di chi le ha conosciute, o vengano definite attraverso il loro rapporto con il cibo (Syuko la piccola e sfortunata sorella dell’autrice è la bambina che non poteva mangiare). E allo stesso modo si ha l’impressione che le pietanze in Un cuore da nutrire lentamente si trasformino in esseri umani, ne assumono le fattezze e gli appellativi. E questo è tanto vero che perfino il tè matcha può divenire venerabile come un saggio monaco o un medico di campagna.
Tanti gli aneddoti presenti nel libro, alcuni leggeri e divertenti, altri espressamente drammatici tutti presentati grazie a una scrittura ricca e preziosa; e tanti i contributi al libro offerti da amici italiani e giapponesi, dal citato Gad Lerner al fotografo Yasufumi Manda, a Claudio Gallina.
Iwasaki Motoko con il suo libro è veramente riuscita a nutrire il cuore di tutti coloro che hanno letto questo bellissimo libro.

Credit: foto di Teresa Bellina

Autore: Motoko Iwasaki
Editore: Ali Ribelli Edizioni
Anno edizione: 2019
Pagine: 184 p., Brossura

Carlo Blangiforti

Carlo Blangiforti è di Mineo (Catania) e vive a Ragusa. Laureato in lingua e letteratura russa, si occupa di editoria, grafica e eventi culturali. Ha pubblicato raccolte di versi (Distratti e lontani, Maremmi Editore, 2009), di racconti (Tre per tre, Operaincerta, 2015), il romanzo breve Un vento che passa, un’ombra, un niente (I quaderni del Centro, 2010), i racconti Antipatizzanti anonimi (in Della Antipatia, 2019) e  Senza l’odio non c’è amor? (in Oltre il confine dell’oblio, 2020). Ha scritto i testi per il libro fotografico Mineo - storie di pietre e uomini  (I quaderni del Centro, 2020), il saggio Urlano anche i topi (Operaincerta, 2010) e due volumi sulla storia della gastronomia siciliana, L’ingrediente segreto (Le Fate, 2017) e Panza e assenza  (Le Fate, 2016). Assieme ad altri compagni di viaggio ha scritto Il carrubo è l’uomo (Abulafia editore, 2022).

Contatti

Via De Gasperi, 20
97100 Ragusa

info@operaincerta.it

+39 3482941990

I nostri link

© Operaincerta. All Rights Reserved. Designed by HTML Codex